LUCA MARINELLI, L’ANTIEROE DEL CINEMA TRA PERSONAGGI ESTREMI E FOLLIA

L’attore romano, già Premio Gassman, è candidato a due David di Donatello per «Lo chiamavano Jeeg Robot» di Gabriele Mainetti e «Non essere cattivo» di Claudio Caligari

marinelliLuca Marinelli, 31 anni, romano, è l’attore del momento, candidato a due David di Donatello (il 18 in diretta su Sky): Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Non essere cattivo di Claudio Caligari. I due personaggi sono due antieroi, un criminale e un tossico, vivono nella periferia romana.
L’hanno definita il simbolo del nuovo cinema italiano.
«Vivo tutto questo con grande imbarazzo, e sono felice naturalmente, ma secondo me si sbagliano. Ho avuto la fortuna di recitare in due bei film, affronto le cose con calma, sennò diventa un fuoco che brucia subito».
Le hanno appena dato il premio «Vittorio Gassman»…
«Beh, posso dire di aver fatto l’Accademia d’arte drammatica come lui. Purtroppo non l’ho mai visto recitare a teatro ma imparavo a memoria le battute dei suoi film, comeI Soliti Ignoti».
È vero che lei da piccolo voleva fare l’archeologo?
«Sì, ma dopo aver visto Indiana Jones al cinema. Al liceo dissi a mio padre che mi sarebbe piaciuto diventare attore. Mi rispose: sì, però studia. Non credevo di poter riuscire, al Centro Sperimentale di Cinematografia non fui ammesso, forse perché quando Lina Wertmüller, una delle esaminatrici, mi chiese l’ultimo film che avevo visto, risposi Batman».
Il destino dei supereroi…
«Però in Jeeg Robot sono la nemesi del supereroe (Claudio Santamaria), sono lo Zingaro, il cattivo con una dose da cavallo di follia. Ho pensato all’assassino “Buffalo Bill” e a Anthony Hopkins in Il silenzio degli innocenti. E quando devo tirar fuori ambizioni canore in età adolescenziale il modello è stato Anna Oxa».
Anna Oxa?
«La chiave è stata il suo video di “Un’emozione da poco”: lei da giovanissima a Sanremo, vestita da uomo, con la ventiquattr’ore in mano e quel rock’n’roll…».
I produttori non volevano fare «Jeeg Robot», convinti che sarebbe stato un flop.
«Segna uno spartiacque, si è capito che quei film lì, un fantasy italiano che fa il controcanto a quelli americani degli effetti speciali, noi li possiamo fare. Gabriele, il regista, ha contenuto il divertimento scenico e la follia del mio personaggio nel contesto di Tor Bella Monaca, la periferia dove abbiamo girato, che non è Gotham City: i centri commerciali, la frustrazione, un certo esibizionismo. Sono contento di aver conosciuto un quartiere della mia città. Se avessi io superpoteri mi batterei per una giusta normalità».
La strana storia del film di Caligari: candidato italiano agli Oscar, ma fuori concorso a Venezia.
«È stato un peccato però essere lì era già un traguardo. Ci hanno ringraziato in tanti. Caligari venne a mancare poco dopo la fine del primo montaggio, era un intellettuale alla maniera di Pasolini».
Lei vive a Berlino?
«Da quattro anni, per ragioni private. Dopo lo svezzamento con La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo e Tutti i santi giorni di Paolo Virzì, ho la fortuna di poter fare meno provini rispetto al passato, e qualche incontro in più. Non è scomodo, basta organizzarsi. Ho da poco girato con Jasmine TrincaTutto per una ragazza di Andrea Molaioli, la prima volta in cui interpreto un padre. Adoro il modo in cui la Germania tutela i ragazzi. Ci sono film vietati ai 6, agli 8, ai 12, ai 14, ai 16 e ai 18 anni. Non una censura».
Com’è il cinema italiano visto dalla Germania?
«Parlerei di crisi di coraggio, non di talento, non siamo messi così male: con Rosi abbiamo vinto alla Berlinale, e prima c’è stato l’Oscar di Sorrentino».
Ogni attore è cresciuto con un poster in camera.
«Sopra il letto avevo la foto di Marlon Brando col cranio rasato e uno scarafaggio in testa: Apocalypse Now era il mio augurio prima di andare ogni giorno in Accademia. Poi trovo che Joaquin Phoenix sia un attore maestoso. È un lavoro fantastico, se avrò la fortuna di continuare a farlo».

Corriere della Sera

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