WOODY ALLEN TRAVOLTO DALLA RIBELLE MILEY CYRUS DEA DELL’AMORE ANNI 60

Arriva su Amazon “Crisis in Six Scenes”, la sua prima serie tv È come un film ma diviso in capitoli. “Pentito di aver detto sì”

«Crisis in Six Scenes»: arriva anche in Italia dal 24 marzo su Amazon PrimeVideo la prima serie girata da Woody Allen. Molto attesa, vista la notorietà dell’autore, l’ultimo che si sarebbe immaginato accettare di passare a lavorare per la tv. Malgrado il suo passato remoto di battutista per vari show televisivi. E ora vagamente ricordata anche nella serie.
Il protagonista, Sydney J. Munsinger, è infatti scrittore frustrato, aspirante nuovo Salinger, che campa facendo il pubblicitario e intanto lavora a un’astrusa serie tv. Siamo nei tardi Anni 60 e tra i giovani infuria un vento di ribellione e protesta, Vietnam, diritti civili, hippies, i diritti degli afroamericani. Lui vive però in una metaforica periferia di New York ancorato a un passato immobile, ansioso, chiuso a ogni novità. La moglie Kay, psicologa, fa terapia di coppia e gestisce un club del libro con altre pimpanti sessagenarie. Con loro, momentaneamente, vive Allen, figlio di una ricca coppia di amici. Un Eden, finché in casa non si installa Lenny Dale, bionda e sexy, stravagante, attivista politica vicina alle Pantere Nere, marxista e filocastrista, insurrezionalista, bombarola, evasa e inseguita dalla polizia.
Si apre a quel punto per il povero Sydney, ruolo che Allen riserva ovviamente a sé, una crisi continua che si risolverà nelle sei scene del titolo, ciascuna un episodio, ognuno un passo avanti nel dilagare della follia in casa Munsinger. Quel mondo che Allen aveva evocato con filmati d’epoca a inizio serie, rappresentato da Lenny e raccontato dai notiziari tv, irrompe e contagia un po’ tutti in famiglia con effetti paradossali ed esilaranti.
Nei tre ruoli principali lo stesso Allen, nell’ ennesima declinazione dell’intellettuale borghese ebreo, ansiogeno e nevrotico; Elaine May, attrice teatrale con un passato non fortunato da regista, nel ruolo della moglie Kay, una specie di Annie Hall invecchiata che la vita con quel marito ha cloroformizzato. E poi Miley Cyrus, che al personaggio di Lenny dà quell’aura scandalosa e ribelle che le arriva dalla vita vera, new entry del ricco pantheon di «dee dell’amore» alleniane, che va da Mira Sorvino a Penelope Cruz, Emma Stone, Kristen Stewart, Scarlett Johannson.
«Wonder Wheel»
Risale al gennaio 2015 l’annuncio che il cineasta newyorchese avrebbe girato una serie per Amazon, e già pochi mesi dopo, al Festival di Cannes, lui stesso confessava di navigare a vista ed essersi pentito, malgrado la generosità del compenso e la totale libertà di contenuti e stile. «Non ho idee e non sono sicuro da dove cominciare. Mi sono pentito ogni secondo di avere detto di sì», di «essere uscito dalla mia “comfort zone”».
A più riprese ha confessato la sua totale estraneità al mondo digitale. «Non possiedo un computer. Non ho mai visto nulla on-line. Non so cosa sia uno streaming. Non è un atto di ribellione. Solamente non sono persona che usa quel genere di gadget. E anche in televisione non ho mai visto nessuna serie, né I Soprano o Mad Men. Esco ogni sera e quando torno a casa, al massimo guardo la fine di una partita di baseball o di basket». Ma Amazon «mi ha offerto un sacco di soldi e tutti intorno a me mi faceva pressioni perché accettassi».
La serie alla fine l’ha fatta, ma anche a lavoro finito non ha avuto dubbi: mai più Sydney Munsinger e mai più serie tv. «Troppa fatica. Come per un film». Questo non significa però che abbia interrotto ogni rapporto con il munifico committente: il film del 2017, Wonder Wheel, con Kate Winslet, Jim Belushi, Justin Timberlake e Juno Temple, sarà infatti ancora prodotto da Amazon.
Insomma: Allen abitudinario come il suo Sydney. Alla fine ha risolto facendo non una serie ma un altro dei suoi film, appena più lungo del solito e diviso in sei capitoli (ogni episodio dura circa 20 minuti), in uno stile e con una storia che sono inequivocabilmente «suoi». E che, come tale, la critica ha amato o detestato.

ADRIANA MARMIROLI, La Stampa

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