Mahmood: «In “Ghettolimpo” la mia doppia anima fra Egitto e Sardegna»

Mahmood ha in mano un’enciclopedia per ragazzi. «Era un volume che avevo da bambino e mi guardavo sempre le parte del dizionario mitologico», ricorda. È dentro quelle pagine l’origine del concept di «Ghettolimpo», il suo nuovo album, il primo scritto dopo il successo di Sanremo 2019. «È una parola inventata, l’incontro fra mitologia e vita quotidiana». Nelle canzoni si incrociano aspirazioni e vita vissuta, mito e asfalto, opposti che si confrontano. Sulla copertina si è fatto ritrarre come un Narciso fantascientifico che si riflette in una figura biomorfa, un terrificante insetto nero con il suo volto. «Era il mio mito preferito, ma ho cambiato il significato. Vedo il mio riflesso e non mi ci rispecchio. Simboleggia la fase di cambiamento e passaggio che ho vissuto in questi due anni, la paura di allontanarmi dalle proprie origini».

La vittoria a Sanremo
Da ragazzo col sogno della musica e qualche fallimento alle spalle a vincitore di Sanremo con «Soldi» che diventa una hit internazionale. Il non riconoscersi non è solo la conseguenza dell’avere un’immagine pubblica. «Dopo Sanremo mi ha spaventato vedere come mi guardavano mia mamma e i miei amici quando tornavo a casa. Io mi sentivo lo stesso di prima, ma anche mamma a volte faceva fatica a trovare le parole». Narciso è nella title track, «Dei» è «una filastrocca» che infila i nomi delle divinità, «Icaro è libero» chiude il disco con le riflessioni di un carcerato che sogna la libertà: «Parlo del desiderio di volare e di come spesso la società provi a bloccarlo. Come quando a me dicevano “sei uguale a Mengoni” o quando sono arrivato quarto la prima volta a Sanremo Giovani o quando sono stato eliminato da X Factor». C’è un altro doppio Mahmood nel disco.

L’Egitto del padre, la Sardegna di mamma
In «Ghettolimpo» il canto ricorda le cadenze dei muezzin, il ritornello di «Talata» sono i numeri dall’1 al 3 in arabo («Non parlo la lingua, solo qualche parola»). Questo lato, ereditato dal babbo egiziano, lo conoscevamo. Nella dolce e commuovente «T’amo» c’è invece la Sardegna di mamma con le cornamuse, un coro di Orosei e una parte della tradizionale «Non potho reposare»: «Per la prima volta mamma ha pianto per una mia canzone. E anche io fatico a riascoltarla. Nella vita non riesco a dire “ti amo” a nessuno, non vengo da una famiglia tutta baci e abbracci, ma qui ce l’ho fatta». Sulla sua storia e sulle sue origini si era gettata anche la politica. «Non mi aveva turbato, l’ho presa con leggerezza perché non toccavo terra in quei giorni. Sognavo di svegliarmi tornando alla vita di prima».

Il ddl Zan
Con prudenza ha fatto sentire la sua voce su temi di attualità. Sull’omofobia ad esempio: «Mi batto per il ddl Zan, ma quando sento di ragazzi gay picchiati come è accaduto a Palermo mi sembra che si parli al vento». Il caso di Saman, la ragazza pakistana uccisa a Novellara perché si era opposta un matrimonio combinato, gli serve per fare un’analisi più ampia. «Una canzone o un’intervista non risolveranno i problemi che questo mondo ancora presenta, ma il contributo di tutti può aiutare a spostare qualcosa. Nel mio caso, lo faccio attingendo alle due culture che mi appartengono, il mio è un modo autentico e onesto di cercare di dimostrare che convivenza e inclusione sono possibili, non devono fare ancora paura».

La personalità del disco
Il disco ha la sua personalità, pur stando fra pop e urban non cerca di seguire altri. Sfera Evbbasta e Feidi sono i feat già noti di «Dorado», in «Karma» c’è il genio internazionale di Woodkid e «Rubini» lo vede portare Elisa sul suo territorio: «Assieme avevamo scritto un altro brano e quando mi ha fatto sentire il provino di questa le ho chiesto il permesso di intervenire ed è nato il pezzo più r&b dell’album».

Andrea Laffranchi, corriere.it

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