Delitto di Perugia, Amanda Knox: «Torno in Italia da donna libera»

Amanda Knox torna in Italia per partecipare al festival della Giustizia penale a Modena. Non concederà interviste. Con Raffaele Sollecito è stata assolta in via definitiva per l’omicidio di Meredith Kercher

«Ho deciso di non concedere interviste tornando in Italia, nella speranza che quello che dirò a Modena parli da sé». È su Twitter che Amanda Knox racconta qualcosa del suo arrivo in Italia dopo quasi 8 anni. Sui social ha ribadito che torna da donna libera, tona nel paese dove ha conosciuto la prigione per parlare a un festival che si occupa di giustizia penale.

Il suo caso è uno dei più noti della cronaca italiana e internazionale: il delitto di Perugia. Era il primo novembre del 2007. La vittima, Meredith Kercher, studentessa inglese, era la coinquilina di Amanda, americana allora ventenne che studiava a Perugia che fu accusata dell’omicidio insieme al fidanzato del tempo. Raffaele Sollecito, e all’ivoriano Rudy Guede, unico condannato.

L’assoluzione definitiva «per non aver commesso il fatto» è arrivata nel 2015 dalla Corte di Cassazione, ma Amanda era già negli Stati Uniti dal 2011 dopo quattro anni di carcere in seguito a una delle sentenze del lungo iter a zig zag della giustizia italiana che l’aveva condannata in primo grado, quindi assolta per due volte.

Lei, che si è sempre detta innocente, ha fatto della sua vicenda giudiziaria un lavoro e in qualche modo una missione. C’è un documentario che racconta la vicenda su Netflix, in prima persona scrive articoli e cura un blog che parla per lo più di vittime di errori giudiziari. Ha concesso interviste, fatto podcast e scritto un libro, Waiting to be heard, Nell’attesa di essere sentita. Fa parte di Innocent project, associazione che si occupa di vittime di errori giudiziari.

In Italia è accompagnata dalla madre e dal fidanzato Christopher. A Modena parteciperà, sabato 15 giugno, a un incontro sul tema Il processo penale mediatico, che è poi quello che sente di aver subito lei, condannata in televisione e sui giornali prima che nelle aule di tribunale.

Amanda Knox racconta in un articolo che anticipa il suo arrivo in Italia quando la sua vita non sia mai più stata privata. «Arrivata in prima pagina contro la mia volontà nel 2007, l’anno del lancio dell’iPhone, del successo di Twitter e Facebook, i dettagli più intimi della mia vita, dalle mie storie intime al desiderio di suicidio in carcere, sono finiti in pasto ai media. Sono diventati il centro di centinaia di articoli e post».

Ha scelto di avere profili social pubblici raccogliendo sostegno, ma anche decine di commenti d’odio. Resiste. «Questo non significa che io sia contenta di come la mia vita sia considerata un oggetto di consumo o di come altre vite diventino solo contenuti per la stampa. La vita di qualcuno può essere una grande storia, ma è sempre la sua vita e va rispettata».

I tribunali per lei non si sono ancora del tutto chiusi visto che nel gennaio 2019 la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per aver violato i suoi diritti. Il 6 novembre 2007, a 4 giorni dal delitto, non aveva né un avvocato né un traduttore (ancora non parlava bene italiano) durante l’interrogatorio. La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l’Italia deve versarle 10400 euro per danni morali, contro i 500mila che aveva chiesto lei, e 8mila euro per le spese legali. Il governo italiano ha impugnato la sentenza e si attende una nuova decisione.

Chiara Pizzimenti, Vanity Fair

Exit mobile version