Elisa: «Non sono una cantante da museo, tanti duetti per cambiare»

Elisa è come un puzzle per esperti. Uno di quelli dai mille pezzi in su. E ognuno di questi porta il riflesso di un’altra voce. Senza distinzioni di genere, anagrafe, prestigio. Basta aprire le orecchie in questi giorni e si sente Elisa in radio (ai vertici fra i più trasmessi) con Marracash per «Neon – Le ali»; ha pubblicato una instant song per l’emergenza coronavirus con Tommaso Paradiso; per Uno Maggio Taranto ha duettato (a distanza) con i Negramaro e da qualche giorno è fuori la cover di «Three Little Birds» con il feat di Shablo per i 75 anni dalla nascita di Bob Marley. Questo adesso. Nell’ultimo anno e mezzo si è mischiata a De Gregori, Mengoni, Giorgia, Brunori, Subsonica, Consoli, Michielin, Calcutta, Rkomi e Tiromancino.

Sembra entrata in una fase nuova della sua carriera: Elisa feat?
«Anche in passato ho fatto molte collaborazioni, dagli Avion Travel a Tina Turner, da Ligabue al teatro con Sollima, ma sono cambiate tante cose. Non ho più paura di nulla, non penso alla carriera come a una linea retta. Non ho niente da difendere e nulla di dimostrare».

Si sente punto di contatto fra generazioni musicali?
«Sono la prima a non sapere chi sono. L’emozione di quando anni fa andavo a casa di Riccardo Sinigallia a fare musica è la stessa che ho provato l’anno scorso nella soffitta di Carl Brave»

Le regole di ingaggio con i giovani?
«Essere un punto di riferimento mi inorgoglisce anche se mi domando ogni volta come possa succedere. Guardo avanti, sono quasi irrispettosa del mio passato, non ricordo quello che ho fatto e ottenuto, non voglio essere una da museo. Mi rivedo in Charlie Charles con cui non ho lavorato direttamente (ha prodotto l’album di Rkomi, ndr): abbiamo vicende personali simili, siamo topi da studio».

Nel 2018 ha scelto De Gregori per lanciare l’album «Diari segreti». Il Principe visto da vicino?
«È uno che non si porta pesi addosso. È come un bambino. Cerca la libertà di espressione e non gli interessa fare entertainment».

Il bello del featuring?
«La sorpresa, ritrovarsi a fare una musica che prende una sfumatura diversa. C’è lo stimolo ad uscire dal tuo mondo e arrivare dove da sola non saresti arrivata».

Il brutto?
«Forse perdi un po’ di autonomia ma quando cerchi una visione comune in realtà non perdi nulla».

L’anno scorso è stata la donna italiana più ascoltata in streaming su Spotify.
«Miracolo! Sento di fare musica in modo puro, sapevo di aver fatto un buon album, ma non pensavo di essere percepita così esternamente».

Perché ci sono poche donne nelle nostre classifiche?
«Questione spinosa e con radici vecchie. Gli uomini hanno un progetto di cui sono padroni e sembra che guidino l’astronave anche se fanno solo la metà delle cose. Nei progetti, anche quelli top, femminili c’è una gestione di gruppo, condivisa. E le artiste stesse non hanno l’atteggiamento di chi è alla guida».

Chi pilota la sua astronave?
«Magari è di carta, ma la guido io».

«Andrà tutto bene» è il titolo della canzone con Paradiso a sostegno della Protezione civile. Andrà veramente tutto bene?
«Non lo so… Mi sono interrogata a fondo sull’opportunità di cantarla anche senza avere delle certezze. Tra dolore, perdite, angosce e incertezze mi sembrava fuori luogo. Alla fine mi sono risposta che la volevo cantare a squarciagola per chi ha bisogno di sperare. Sono arrivata a questo punto quando ho capito intimamente il senso dei cartelli dei bambini con la scritta e l’arcobaleno. Mi sono arrivati anche da amici punk irriducibili che hanno mostrato fragilità».

L’avete scritta durante una diretta Instagram…
«Avevo una melodia e la frase “solo per sentirti dire che andrà tutto bene” che mi giravano in testa da gennaio. Il 70 per cento del testo viene dai messaggi dei fan».

Andrà tutto bene lo dice anche Marley in «Three Little Birds»…
«È un punto di riferimento musicale e filosofico: ha unito la profondità spirituale e la positività di significato».

Andrea Laffranchi, Corriere.it

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