LANZA, KAFKA E IL SENSO DEL DOVERE

Copertina_Kafka(Tiziano Rapanà) Sono felice di aver letto l’ultimo libro di Cesare Lanza Nel nome di Kafka – L’assicuratore (L’attimo fuggente editore), perché mi ha permesso di scoprire un lato inconsueto dello scrittore boemo e mi ha confermato l’attenzione intellettuale di Cesare verso il senso del dovere e l’abnegazione nel rispettare, anche con estremo sacrificio, l’impegno preso. Interesse che l’ha spinto a creare un movimento di salvaguardia del merito, Socrate 2000 (intitolato guarda caso, ad un filosofo che accetta per l’assoluto principio di responsabilità sociale, l’ingiusta condanna a morte) e prima ancora  realizzare un film La perfezionista, che racconta l’ortodossa meticolosità lavorativa e sentimentale di una donna “in carriera”. Il saggio, come il titolo suggerisce, si concentra sul lato privato di Kafka, il quale in vita è stato – e il libro ben documenta, grazie al lavoro di Ilaria Ammirati – un serio assicuratore che si è distinto per encomiabile scrupolosità. Il pregio del volume è essenzialmente dato da un registro linguistico di facile comprensione, rivelatore di un intento divulgativo che guarda al lettore comune, il quale probabilmente poco conosce (o addirittura ignora) la figura di Kafka. Figura che è certamente anomala, sicché è fondata da un particolare sposalizio tra un inedito esempio di probità lavorativa e una notoria complessità psicologica di sofferente creatività. Indubbiamente il matrimonio svela una contraddittorietà intellettuale e letteraria, che Cesare Lanza annota nel capitolo quattro e che voi stessi potete notare confrontando un qualsiasi testo dello scrittore con uno dei documenti presenti all’interno del volume. Naturalmente, però, il mio invito è di non soffermarvi troppo di fronte a queste quisquilie linguistiche: cercate, invece, di approfondire il vero intendimento del libro che mira a celebrare un uomo infelice che, con grande correttezza, ha compiuto sommessamente il proprio dovere di lavoratore. Un proponimento, a mio avviso, meritorio nella storia della critica all’opera (e inesorabilmente alla vita) di Kafka, perché tale particolare privato è stato il più delle volte ignorato dai critici e biografi1 (e di cui paradossalmente il solo Kafka ne ha, sporadicamente, parlato nei suoi Quaderni in ottavo), i quali hanno sottovalutato l’importanza di questa tribolazione impiegatizia, che è stata la fiamma viva della produzione artistica dello scrittore.

1Pensate soltanto alla recente biografia realizzata da Lemaire, il quale liquida l’argomento in poche pagine del capitolo tredici, La vita lavorativa ed affettiva (Gérard-Georges Lemaire, Kafka – Una biografia, trad. it. di Valentina Ballardini, Torino, Lindau s.r.l., 2014).

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