La Rai sta per realizzare un film su Bettino Craxi

Una sfida più spiazzante allo spirito del tempo sarebbe difficile immaginarla: un film su Bettino Craxi, che si cercherà il pubblico nei cinema e poi nelle case degli italiani, perché a co-produrlo sarà Rai Cinema. Sfida spiazzante perché da almeno 30 anni, nell’immaginario di una parte del Paese, Craxi è stato – e resta – uno dei simboli della vecchia classe dirigente, un simbolo che nelle versioni più antipatizzanti, è passato alla storia come «il latitante», il «cinghialone» e via di questo passo. Una parte del Paese – quella del cappio e del “sono tutti ladri” – che da circa un mese è maggioranza nel Paese e per la Rai co-produrre questo film è diventata a prima vista un’impresa ancor più controcorrente.

Ma anche un’impresa immaginata con tutti i crismi: per la regia si è pensato a Gianni Amelio, uno degli ultimi maestri del cinema italiano, autore di capolavori premiati a Cannes e Venezia e soprattutto un poeta del cinema che in tutti i suoi film si è sempre mosso su spunti drammaturgici non scontati. Del progetto del film poco trapela, il segreto istruttorio è quasi impenetrabile: si sa soltanto che a ispirare Amelio, intellettuale che non è mai stato di simpatie socialiste, sia un nucleo drammaturgico che riguarda il potere e la sua perdita irrimediabile, lungo un filone che parte dal sofocleo Edipo a Colono, il re che aveva conosciuto una grande gloria e una sventura ancora più grande.

Da alcuni indizi, del film si può immaginare il titolo «Hammamet», mentre sugli interpreti ci si deve basare su voci che per ora non trovano conferme. Come quella che indica in Pierfrancesco Favino il protagonista principale. Ieri mattina Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema, parlando di bilanci e novità di Rai Cinema e 01 Distribution, ha fatto un fugace accenno ad Hammamet, la cittadina tunisina nella quale Craxi visse gli ultimi sette anni della sua vita, ogni anno più ammalato. Alla fine a Tunisi nessuno se la sentiva di operarlo: arrivò un chirurgo da Milano, che operò Craxi in una sala operatoria dove due infermieri tenevano in braccio la lampada per fare luce. Portò via il rene, ma era tardi. Il tumore si era propagato.

E da quel poco che trapela il film si soffermerà soprattutto su quella drammatica stagione dell’ex leader socialista. A dispetto dei famigliari che spingevano perché tornasse in Italia, lui orgogliosamente tagliò la strada ad ogni ipotesi che passasse attraverso una sia pur momentanea perdita di libertà. Craxi sarebbe dovuto rientrare a Fiumicino, di lì sarebbe stato trasportato nel carcere di Viterbo, restando uno o due giorni, per accettare una domanda di arresti domiciliari. Dopodiché sarebbe stato trasferito al San Raffaele di Milano. Craxi, oramai debilitato, telefonò ad un suo compagno, Donato Robilotta, che lavorava a palazzo Chigi e gli disse: «Dillo a quelli là, che io in Italia ci torno soltanto da uomo libero… Piuttosto muoio qui, in Tunisia…». E così accadde.

Il film, che è destinato ad uscire nel 2019, a ridosso del ventennale della morte di Craxi, non sarà l’unica produzione sul leader socialista. In preparazione c’è anche un «Docufilm», con la regia di Ettore Pasculli, destinato all’emittenza satellitare Sky-Mediaset. Segnali che, uniti alla recente intitolazione di una strada a Craxi a Sesto San Giovanni, la ex Stalingrado d’Italia, dimostrano che dopo anni di ostracismo, pregiudizi e giudizi sul leader socialista stanno cambiando di segno: «Il tempo – racconta il figlio Bobo – stempera le asperità e restituisce in un’ottica più veritiera eventi che a caldo apparvero dolorosi e gravi solo ai simpatizzanti: la morte lontano dal proprio Paese, tante sue previsioni che si sono rivelate profezie e che corrono lungo la Rete, il garantismo, la posizione sul rapimento di Moro, l’internazionalismo a favore dei combattenti per la libertà e soprattutto la presa di coscienza che quei politici non erano perfetti ma erano una classe dirigente che lavorò per il proprio Paese».

Fabio Martini, La Stampa

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