SE IL BANCHIERE SI CONFESSA: IL NUOVO FILM DI ROBERTO ANDÒ

Nel lavoro del regista, in uscita il 21 aprile, un monaco certosino viene invitato a un G8 di ministri dell’economia. “Volevo indagare un luogo dove è concentrato il potere vero. E dove un uomo di fede diventa un vero alieno”

roberto_andoSe in “Viva la Libertà”, anno 2013, l’oggetto di indagine del regista Roberto Andò, 57 anni, era il declino individuale di un segretario di partito e, parallelamente, la perdita di potere della politica, con “Le confessioni”, il nuovo lavoro di imminente uscita, si confronta con i finanzieri, i ministri dell’economia: categorie che fanno da tirannico surrogato del consenso e hanno sostituito la politica stessa nel processo decisionale. Li ha isolati in un inaccessibile albergo tedesco, dove davvero si è tenuto un vertice del G8, e messi in relazione imbarazzante con un visitatore-invitato alieno, il monaco certosino Roberto Salus (Toni Servillo).

Roberto Andò, sembra un passaggio di testimone nell’ideale continuità di un filo rosso narrativo. È così?
«È così. In “Viva la libertà” la politica era il luogo dove raccontare il fallimento di un esercizio che non ha più una funzione e quindi crea un disagio. Qui invece c’è il luogo nevralgico di chi ne ha preso il posto. L’economia è diventata interessante da raccontare perché ha perso la sua baldanza. C’è stato un momento in cui si è posta come una casta teologica. Dopo la crisi nel 2008 sembra sentire la necessità di rivedere i suoi assetti dottrinali».

Non è una visione indulgente? Nonostante i guasti prodotti, la grande finanza ha cercato di impedire a Barack Obama una più vasta riforma di Wall Street nel segno della trasparenza. E con la Grecia ha mostrato la sua faccia più truce.
«La baldanza è strutturale. Però c’è un filone dell’economia che ripensa se stesso. Non mi riferisco solo a Thomas Piketty (il cui libro “Il capitale nel XXI secolo” è considerato marxismo aggiornato, ndr). Non per caso nel film parto da Keynes, dal suo esempio sulla caduta di una mela. Vuol significare che, a differenza della fisica a cui interessa il movimento naturale, l’economia si deve chiedere quali sono le conseguenze della caduta della mela perché è una scienza morale. Invece nella semplificazione brutale dei più cinici il debito è una colpa. Se l’unico culto è quello del denaro non si dà spazio all’espiazione ma si colpevolizza l’indebitato».

Tanto più in una visione calvinista. Mentre i cattolici emendano grazie alla confessione. Non per caso centrale nella sua opera.
«Mettere degli economisti davanti a un monaco, a qualcosa di totalmente spiazzante è il nocciolo dell’idea originaria».

Altri registi hanno preferito ambientare i loro film a Wall Street, un’agorà. Lei, all’opposto, in un albergo-castello fuori dal mondo dove si respira silenzio. E misticità.
«Il potere vero oggi è metafisico. Non perché ha scelto di esserlo, ma perché si è isolato. È un potere “solutus”, sciolto da tutto il resto. In questa situazione si prendono le decisioni. Vivere in modo autoreferenziale è una scelta che il potere ha del resto fatto tempo fa. Enzensberger la fa risalire alle auto blu, poi alle scorte. Quell’essere tragico che è il politico finisce per non capire più nulla perché ha perso rapporto con la realtà».

In un ambiente così quello che si trova più a suo agio è il nostro monaco Roberto Salus…
«Naturalmente. Conosce i ritmi. Ed è un giocatore più abile degli altri. Usa carte che loro non conoscono come quella del silenzio che li spaventa e li mette in soggezione».

Lei ha stabilito un dualismo tra il monaco e l’economista. Come se uno fosse il doppio dell’altro.
«E si tratta di un monaco particolare, un certosino. Un ordine che è eccentrico rispetto alla Chiesa con la quale ha sempre avuto un rapporto complesso. Spesso di dissenso».

La rappresentazione, anche fisica, di chi è contrario al Vaticano delle prebende.
«Il monaco è periferia, l’opposto del centro. E vive sul suo corpo le scelte di silenzio e povertà. La sua postura stessa è un modo di contestare».

I paragoni sono tutti zoppi, ma in un certo senso un Pannella della situazione…
«Quel monaco , semplicemente essendo, mette in discussione il sistema caro agli economisti, il consumo, gli indici di Borsa. E la sua scelta è così tranquilla e originale da risultare per gli altri spiazzante. Il monachesimo implica il fatto che la vita è un bene comune, non è una cosa tua. Anche per questo è un disturbatore».

Guardando il film vengono in mente altre due pellicole importanti. “Shining” e “Todo modo”. Rimandi pertinenti?
«“Shining” è un horror della mente. Qui c’è un altro tipo di horror della mente e il crimine aleggia nel luogo chiuso. In “Todo modo” il detective è l’assassino, qui il monaco all’inizio viene persino sospettato».

«È come se avessi trovato lo sguardo su cose che ho inseguito e si sono rivelate. Come diceva Pasolini in “Petrolio” il racconto di questi tempi “o è pazzerello o non è”. Fare cronaca su un vertice di ministri economici non si può. Bisogna diventino romanzo».

Come è arrivato al monaco?
«Da tante letture. Il Guglielmo da Baskerville di Umberto Eco, certo. Ma anche Bernanos, Sciascia, Soldati. Dal mio interesse per la religione, il mistero. E per un cristianesimo che da noi non ha avuto una grande fortuna».

Per via della Santa Sede?
«Sì. Il monaco certosino è per me il simbolo di una religiosità sparuta».

Che ha prodotto un aggettivo del nostro vocabolario. “Fare un lavoro certosino”.
«Che il protagonista fosse un italiano di cui non si sa nulla, non si sa da dove viene, dove vada, non ha tracce biografiche, mi piaceva. Attraverso la maestrìa di Toni Servillo questo personaggio cresce, soffre, combatte una sua battaglia. Non ha niente in mano ma gioca sul bluff, sul silenzio».

Bluff e silenzio sono due termini del poker.
«Infatti è a suo modo un giocatore. Capisce benissimo l’ambiente in cui si trova e capisce benissimo che chi lo ha fatto venire lì, Daniel Roché, il direttore del Fondo monetario (Daniel Auteuil) voleva mettere i suoi colleghi davanti a qualcosa che è fuori dal loro orizzonte. Avevo letto che un personaggio della Federal reserve era malato di cancro ma la notizia era stata tenuta nascosta per non provocare ripercussioni in Borsa. Certe persone non hanno la possibilità interiore di farsi carico della malattia. La malattia non esiste, non è contemplata. Roché suicidandosi provoca un cortocircuito. Non si sa mai il vero motivo di un suicidia, nemmeno quando chi si toglie la vita lascia un biglietto. Sono molto contento di come Auteuil abbia interpretato il suo personaggio, abbia scelto il registro della leggerezza».

Leggero però quanto spregiudicato!
«Vuole portarsi la sua leadership nella tomba. Protagonista anche nell’assenza. È come un sovrano shakespeariano, non vuole cedere o dare vantaggi alla concorrenza».

E vuole il monaco per l’ultima confessione.
«Perché è il suo contrario. Il monaco gli dice: la mia vita non mi appartiene e non si può comprare. Lui gli risponde: ne è proprio sicuro? Ha appena fatto una donazione al suo convento, glielo dice, cercando di stabilire ancora una volta, l’ultima, un rapporto di potere basato sul denaro».

A certi livelli il denaro è un’astrazione. Agnelli girava senza portafoglio. Le carte di credito, le transazioni finanziarie che si fanno con un clic, lo hanno reso impalpabile.
«Forse quello è il senso del potere vero. La moneta in sé è persino volgare per coloro che non ne hanno bisogno per la spesa al mercato. L’estate scorsa, finito di girare il film, ero in vacanza a Pantelleria e c’era un banchiere importante che stava trattando l’acquisto di un quadro di Fontana. Parlando del denaro mi ha confidato di non saper più cosa sia. Al punto da non fidarsi di chi gli compra opere alle aste. Ci va in prima persona. E secondo me paga anche di più».

Salus, dopo la confessione, non assolve Roché. Perché non c’è redenzione in quel mondo?
«La confessione implica un pentimento che Roché non ha. Altri possono avere redenzione. Come Favino, il ministro italiano che sembra un pentito della manovra economica che stanno per varare e che sarà terribile per i Paesi poveri».

In realtà empatia verso gli ultimi sembrano averla soprattutto due donne. La scrittrice-ospite e la ministra canadese.
«Le spiegano che gli economisti devono “sistemare le cose” e la scrittrice ribatte che lei, quando crea un mondo coi suoi libri, si preoccupa di dare un senso a quel mondo. È questo il problema dell’economia: non riesce a dare un senso al mondo che crea».

Servirebbe la politica.
«Che non credo riuscirà a recuperare terreno, almeno nella nostra epoca. Non vedo nessun leader in grado di farlo. Persino per Obama, comunque un gigante, prevale l’idea del fallimento, dell’uomo che poteva fare e non è riuscito a fare».

Il film comunque fornisce immagini e narrazione a un vertice di ministri. Di cui solitamente non si hanno né immagini né narrazioni complete. Solo cronache mediate e photo-opportunity. Senza sapere davvero nulla dei retroscena. Lei li mostra anche mentre raccontano barzellette.
«Quella che ho messo in sceneggiatura mi è stata riferita da una persona che sostiene di averla sentita da Mario Draghi durante un vertice. Un uomo deve subire un trapianto di cuore. Il chirurgo gli propone quello di un bambino di 5 anni e il malato rifiuta: troppo giovane. Allora il medico vira su quello di un banchiere d’affari quarantenne e si sente rispondere: no grazie, quelli non hanno cuore. L’ultima possibilità è il cuore di un banchiere centrale settantenne e finalmente il paziente accetta: quello lo prendo perché tanto non è mai stato usato».

L’Espresso

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