Musica, è lo streaming che pompa

La musica si sposta sempre più verso lo streaming, sia in termini di fruizione che di ricavi. I dati dei primi nove mesi dell’anno del mercato discografico italiano mostrano proprio questo. Il fatturato secondo la Fimi, la Federazione dell’industria musicale italiana, è arrivato a 103 milioni di euro, con una crescita del 6,68% rispetto allo stesso periodo del 2018 e una buona accelerazione rispetto al semestre quando la percentuale era del +5%. L’incremento però è dovuto unicamente al digitale (al 73% del totale mercato) e, all’interno di questo, allo streaming, che chiude i nove mesi con un +28% e una quota del 67% della musica immateriale.

Le vendite su supporti fisici, invece, sono calate del 20% scendendo al 27% del mercato totale. Resta la riscoperta del vinile, che probabilmente manterrà la sua nicchia anche in futuro, ma il fatturato ormai si fa altrove.

L’andamento dal 2014 in poi è rivelatore di quanto lo streaming abbia cambiato le abitudini dei consumatori e il mercato: nel 2014 il volume dei brani ascoltati in questa modalità era intorno di 3,2 milioni all’anno, nel 2015 di 6 milioni e di 5,2 milioni nel 2016. Ma è dal 2017 in poi che si ha l’esplosione: 14,3 milioni nel 2017 e 25,1 milioni nel 2018.

All’interno dello streaming, poi, i ricavi maggiori arrivano sempre dagli abbonamenti, anche questi in crescita del 28% rispetto al 2018.

Interessante però vedere anche quali siano le abitudini di consumo: gli italiani spendono 16,3 ore a settimana per ascoltare musica (la media globale è di 18 ore) e in testa si colloca sempre la radio con 5,5 ore. Al secondo posto c’è YouTube con 3,6 ore (quindi lo streaming video), poi l’ascolto di musica acquistata (2 ore) e lo streaming audio a pagamento e free con 1,5 ore e 1 ora a settimana rispettivamente. Il peso di YouTube ha fatto sorgere da tempo il problema della differenza di ricavi generati per l’industria musicale fra piattaforme di condivisione video e piattaforme streaming (soprattutto a pagamento): a fronte di volumi nettamente maggiori delle prime i ricavi sono molto più bassi, fenomeno indicato come value gap e lamentato dal mondo discografico.

Altri modi di consumare musica sono quelli tramite social (1 ora), pirateria (0,7 ore) e live (0,4 ore).

A proposito della pirateria, il fenomeno è in calo, da una parte grazie ad offerte gratuite e a pagamento che rendono più semplice accedere a cataloghi musicali molto ampi, dall’altra, secondo Fimi, anche grazie all’attività antipirateria che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha potuto portare avanti dal 2014 in poi. L’analisi fatta da Similarweb nei primi mesi di quest’anno parlava di un calo delle visite ai siti pirata intorno al 10%, percentuale che sale al 35% anno su anno.

Andrea Secchi, ItaliaOggi

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