Piazzolla e i suoi segreti: il re del tango bruciò i suoi spartiti in una grigliata

Astor Piazzolla è stato il grande innovatore del tango e per la prima volta suo figlio Daniel apre l’archivio. L’ha donato al regista Daniel Rosenfeld che ne ha fatto il documentario (esce alla riapertura delle sale) «Piazzolla. La rivoluzione del tango», nel centenario della nascita che cade l’11 marzo. Riecco gli insulti dei tradizionalisti, Piazzolla si trasferì in USA ma venne spesso in Italia, «paese che mi amava, avevo un progetto con Mina». In una telefonata registrata disse a un conduttore di Buenos Aires: «Ti vengo a cercare, e non sarà per parlare, la tua campagna denigratoria è da infami». Un tassista lo insultò: «Mi chiamò comunista. Ma io non ho fatto niente, ho solo cambiato il tango, l’armonia, il ritmo senza perdere la sua essenza. Negli Anni ’60 mi chiamavano l’assassino, il degenerato, il killer. Sono diventato famoso».

Un viaggio evocativo, repertorio inedito, la testimonianza di suo figlio con cui non si parlò per dieci anni: «Mio padre bruciò i suoi spartiti in una grigliata, diceva che bisogna guardare avanti, gli dissi che la sua musica guardava indietro e tra noi calò il silenzio». Il filmato ricrea il mondo personale di Piazzolla, la passione per gli squali e per le zuffe. Suo padre lavorava per un gangster siciliano, gli insegnò a tirare di boxe. Ma il padre amava la musica e lo aiutò in tutti i modi, «ero piccolo e un giorno mi comprò una specie di ventilatore, non sapevo cosa fosse: fu il mio primo bandoneon». Negli Anni ’50 il tango si volatilizzò, il suo funerale lo «suonarono» il il boogie-woogie e il rock’n’roll: «Ma al contempo ero nato io».

Due icone, il cantante Carlos Gardel e la direttrice Nadia Boulanger, fecero osservazioni opposte. Per lui, era bravo a suonare il bandoneon ma come compositore sembrava uno spagnolo; lei osservò che come autore aveva trovato il suo stile. Uno dei suoi capolavori, Adios Nonino, lo scrisse quando venne a mancare d’improvviso suo padre, detto Nonino. Era in tournée, non aveva i soldi per tornare in Argentina. Lo compose in mezz’ora, «riprovai a scrivere venti volte un pezzo come quello senza riuscirvi».

Valerio Cappelli, Corriere.it

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