Giancarlo Giannini: «Lina Wertmüller è stata la mia vera maestra. Mi scoprì con Rita Pavone»

La regista Lina Wertmüller è scomparsa il 9 dicembre 2021 a 93 anni. In questa intervista, il ricordo di Giancarlo Giannini, attore e regista che lei contribuì a far scoprire.

«Oddio, cosa mi dice, quando è successo?». Giancarlo Giannini non sapeva ancora della morte di Lina Wertmuller.

Che cosa ha rappresentato per lei?
«E’ stata la persona più importante che abbia incontrato nella mia vita», dice Giancarlo Giannini . «Senza di lei avrei fatto poco. All’Accademia Silvio D’Amico avevo il grande Orazio Costa come insegnante. Ma Lina Wertmüller è stata la mia vera maestra, sul campo. Venne a vedere un mio spettacolo all’Accademia. Conosceva il mondo dello spettacolo a 360 gradi. Mi ha aperto la mente e mi ha fatto capire cos’è la fantasia».

Quando la conobbe?
«Avrò avuto ventidue anni. Due anni dopo mi prese in Rita la zanzara, il musicarello con Rita Pavone. E nel 1972 l’exploit di Mimì metallurgico ferito nell’onore».

Cosa ricorda di quel film?
«La prima cosa che mi disse è che nessun attore, da Mastroianni a Manfredi voleva farlo. Io avevo appena girato Dramma della gelosia di Ettore Scola e volevo continuare a interpretare personaggi popolari, dopo quel pizzettaro che si innamora di Monica Vitti. Lina mi disse: “Ho scritto una cosa del genere”. Era stata messa un po’ da parte perché dopo I basilischi realizzò un film che non ebbe successo. Andai a trovarla e nella confusione di tanti copioni trovai venti-trenta fogli con quei suoi titoli lunghissimi. Io ero sotto contratto con una società di produzione per un altro film ma riuscii a fare uno scambio».

Sul set com’era?
«Molto decisa, anche aggressiva spesso. Capiva la psicologia di attori e attrici. Ci tirava fuori il meglio. Ci divertivamo molto. Sono film comici che pur nascendo nell’alveo della Commedia all’italiana hanno un colore tutto loro, un po’ farsesco. Un modo diverso rispetto al cinema di allora. Abbiamo avuto successo, li accompagnavamo in America come se fossero figli, portavamo le pellicole sotto il braccio. Eravamo una bella coppia professionale, riuscivo a mettere in pratica le idee di Lina».

E poi l’Oscar sfiorato…
«Per Pasqualino settebellezze abbiamo avuto quattro nomination, compresa quella mia, come migliore attore».

Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto era sempre in quei formidabili Anni 70.
«Ricordo le risate fra tante difficoltà sul set in Sardegna. Il vento, la sabbia negli occhi, il mare che cambiava colore…Poi Mariangela Melato si tagliò un piede con una bottiglia d’acqua minerale e arrivarono sette controfigure. Io mi ruppi il menisco…».

E tutti quegli schiaffi…
«Nella sceneggiatura ne erano scritti quattro o cinque, alla fine diventarono cinquanta. Si improvvisava molto. Tante scene erano fatte di soli sguardi e restano forse le più straordinarie. Lina diceva che il volto di un attore è il paesaggio più bello».

La Melato, l’alto borghese milanese dalla erremoscia che nel naufragio finisce per innamorarsi del marinaio. Lina era femminista a modo suo?
«No, però ha saputo raccontare così bene le donne, mettendole in una condizione privilegiata. Capiva bene il rapporto uomo-donna in modo libero, senza tutti i condizionamenti di oggi».

Vi eravate persi di vista?
«Ci siamo visti anche di recente, l’ho accompagnata a Cannes. Credo che il fatto che a Hollywood io sia il solo attore maschio italiano ad avere la stella alla Walk of Fame, dopo Rodolfo Valentino (così mi hanno detto, altra cosa è l’impronta delle mani sull’asfalto), lo debba molto a Lina».

Valerio Cappelli, corriere.it

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