Van Gogh come non lo avete mai visto. Dafoe: “Non imito, fornisco un’esperienza”

Nelle sale il 3 gennaio il ritratto del pittore dei Girasoli e della Notte stellata visto dal regista e pittore Julian Schnabel. Un punto di vista inedito che consegna un Van Gogh complesso ma risolto “sulla soglia dell’eternità”

“Sono sempre stato un pittore, non so fare nient’altro e mi creda ci ho provato. Dentro di me c’è qualcosa, non so cosa sia: vedo qualcosa che gli altri non vedono”. Ci voleva un pittore, un artista del calibro di Julian Schnabel per consegnare al grande schermo una versione inedita e così profonda di Vincent Van Gogh, di tutti gli artisti del Novecento forse quello la cui vita personale, il suo tormento artistico e umano è conosciuto tanto quanto la sua opera. E il regista americano con Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità riesce nel difficilissimo equilibrio di tenere insieme con uguale potenza le due anime: la ricerca artistica e quella esistenziale, grazie all’interpretazione di Willem Dafoe che si consegna con generosità al pittore olandese, una performance che dopo la Coppa Volpi a Venezia, gli è ora valsa la candidatura ai Golden Globe. “Tutti pensano di sapere tutto su Van Gogh e sembrava assurdo fare un altro film su di lui. Eravamo io e Jean-Claude Carrière (sceneggiatore con Schnabel, ndr) al Musée d’Orsay e guardando i suoi dipinti ci è venuta l’idea di rendere l’emozione, l’esperienza di entrare in museo, avvicinarsi ai quadri, guardarli e poi passare oltre, uscendo con quel senso di ‘accumulazione’ che danno tante opere insieme – diceva il regista a Venezia – È impossibile spiegare il film, è impossibile darne una ragione, ogni volta che raccontiamo in qualche modo mentiamo. Io ho cercato, con il cinema, un equivalente delle sensazioni che si possono avere con un’opera d’arte”. E infatti il film è ben lontano da un biopic tradizionale: Schnabel porta lo spettatore nella soggettiva dell’artista, tratteggia il mondo – che sia la cittadina di Arles, dove Van Gogh fatica a integrarsi o la meravigliosa campagna circostante il cui il pittore cerca conforto – con lo stesso stile del suo protagonista.D’altronde, come ha raccontato il suo amico Pappi Corsicato che al regista ha dedicato un documentario – ritratto L’arte viva di Julian Schnabel, “lui è attratto dalla vita degli artisti, perché a Julian interessa proprio quel tipo di approccio e quel tipo di sensibilità, quel suo stare al mondo attraverso la propria arte. E tutti i suoi film (Prima che sia notte sul poeta cubano Reinaldo Arenas, Basquiat sul pittore suo amico, Lo scafandro e la farfalla sullo scrittore Jean-Dominique Bauby), hanno questa caratteristica: mettono in scena il suo dolore, il suo immolare la propria vita per l’espressione artistica”. Ma Schnabel nel suo film rifiuta l’ipotesi del suicidio del pittore e propone un’altra tesi. “Van Gogh, come si legge nelle sue lettere, era lucido, consapevole del suo valore e forse, come si vede in un dialogo con un prete (Mads Mikkelsen, ndr), si identificava davvero in Gesù. Ma ci tenevo anche molto a rappresentare la sua paura di impazzire, di essere sempre ai confini della sanità mentale” ha detto Schnabel.Per Willem Dafoe il lavoro di immedesimazione è stato profondo: ”Ho dovuto imparare a dipingere, era davvero necessario. In questo ovviamente mi ha aiutato Julian che conosco da oltre 40 anni e che ho visto sempre al lavoro, nel suo spazio. Ho anche letto molto, ovviamente, Julian mi ha dato un libro che conteneva tutte le sue lettere, i suoi pensieri”. E la sera della premiazione della Coppa Volpi a Venezia l’attore tre volte nominato agli Oscar diceva: “Ogni ruolo è differente, con la mia interpretazione non cerco mai l’imitazione ma piuttosto di avere e fornire un’esperienza a partire dallo scenario che stiamo creando. Con personaggi come Pasolini, T. S. Eliot oppure Cristo ho avuto l’opportunità di attingere a un incredibile quantità di fonti di ispirazione. Ruoli come questi possono essere esperienze che ti cambiano la vita per sempre e per un attore una tale trasformazione ti porta veramente a essere qualcun altro”.

Chiara Ugolini, repubblica.it

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