Lisette Oropesa, la mia voce per la Scala: «Canterò al gala del 7 dicembre»

«Ho saputo che Lucia di Lammerdoor non si faceva più mentre correvo al parco. Mi è mancato il fiato, ho dovuto fermarmi». Strano per una runner come lei. Ma lo choc fa di questi effetti. Eppure, come tutti alla Scala anche Lisette Oropesa, soprano americana di origine cubana, protagonista con Juan Diego Flórez dell’opera di Donizetti, era consapevole dell’incombere del lockdown sul teatro. «Sapevamo che il 7 dicembre era a rischio ma fino all’ultimo abbiamo continuato a provare, convinti che ce l’avremmo fatta, che nonostante il virus saremmo riusciti a andare in scena. Se non credessimo ai miracoli non faremmo questo mestiere».

Doveva essere il suo debutto alla Scala.
«Lo sarà. La Scala chiude ma l’inaugurazione si farà. Non con un’opera ma con un concerto a porte chiuse che riunirà intorno a questo teatro simbolo per tutto il mondo, alcuni grandi nomi della lirica. Quanto a me, in attesa di interpretare tutta la Lucia appena possibile, quella sera ne canterò alcune arie. Sono prontissima».

A che punto eravate con le prove?
«Già molto avanti. Con il maestro Chailly abbiamo lavorato sodo e anche con il regista Yannis Kokkos. Una persona molto sensibile e gentile, la sua è una Lucia diversa dalle solite, meno fanciulla e più donna, non vittima ma consapevole delle sue scelte».

Come si sarebbe aperto lo spettacolo?
«Lucia è un’opera dalle tinte gotiche. Che inizia dove di solito le storie d’amore si chiudono, con le nozze con Edgardo. Nozze segrete in un giardino, accanto a una fonte dove si aggira il fantasma di una donna. Posto poco ideale per sposarsi, difatti Kokkos, anche autore di scene e costumi, l’ha immaginato come un cimitero, con una statua femminile reclinata su se stessa».

E per la scena della follia?
«Una piramide di scale a specchi, per riflettere, moltiplicare, confondere la povera Lucia che, nel frattempo, ingannata da tutti, viene spinta a maritarsi con un altro».

Che abito avrebbe indossato?
«Il più iconico, quello di Grace Kelly! Copiato pari pari dall’originale, corpino di pizzo avorio, maniche lunghe, una fila di bottoncini sul davanti, la cuffietta che trattiene il velo. Una meraviglia. Il guardaroba della principessa di Monaco ha ispirato tutti i costumi di Lucia».

Niente a che vedere con il suo vero abito da sposa?
«Niente. Con Steven (Steven Harris, il suo web manager) ci siamo detti sì nel deserto dell’Arizona! Ero a Tucson per cantare proprio Lucia, avevo un paio di giorni liberi. Ne abbiamo approfittato. Entrambi amiamo il deserto, abbiamo trovato una cappella senza tetto, alzavi gli occhi e vedevi il cielo. Un abito bianco, decorato di perline… Cerimonia intima, ma molto più felice di quella di Lucia».

Difficile lavorare seguendo le norme sanitarie dei teatri?
«È stata dura. Tutti con mascherina, a distanza, tamponi continui. Ne avrò fatti una ventina, in gola, su per il naso, con la goccia di sangue… Ogni volta con l’ansia di ritrovarsi positivi. Tutti avevamo paura. Di contagiare, di essere contagiati. Il canto facilita la trasmissione delle goccioline e quando canti la mascherina te la devi togliere. Il mondo della lirica ha pagato un prezzo alto in questa pandemia, tanti ammalati. E morti. L’ansia era tanta. Poi però il pianista attaccava le note di Lucia e di colpo usciva il sole. Un altro mondo, di bellezza e poesia. E al Covid non pensavi più».

«Lucia» è l’opera che l’ha resa una star. Rispetto alle altre edizioni, in cosa è diversa questa della Scala?
«Dal punto di vista musicale questa è la Lucia più grande. Il maestro Chailly ha voluto la versione originale di Napoli del 1835 che prevede una tonalità più alta di tessitura, mi ha chiesto di dimenticare le variazioni tradizionali e, come si fa nel bel canto, scoprirne altre in totale libertà. Ho scritto una cadenza per la scena della follia, è piaciuta».

Come sarà cantare in un teatro senza pubblico?
«Ce ne sarà tantissimo! Il concerto ripreso da tv e streaming, sarà trasmesso in mezzo mondo. Mai avuto una platea così grande. Forse mi vedranno anche i miei parenti in Louisiana».

La Louisiana ha votato per Trump.
«Purtroppo. È uno stato fortemente repubblicano. Mio marito e io abbiamo inviato il nostro voto per posta, due voti azzurri per cancellare due voti rossi. Ora Biden ha vinto. Il problema sarà il dopo».

Giuseppina Manin, Corriere.it

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