Mister Netflix: Suburra è solo l’inizio. Faremo altre serie made in Italy

Abbonamenti più cari anche da noi. Ma Ted Sarandos, che governa i contenuti della piattaforma: «Investiremo l’aumento di prezzo in produzioni originali». In cantiere ci sono già altri due progetti tricolori

Il lancio in pompa magna del primo contenuto originale italiano, Suburra la serie. L’annuncio di nuove produzioni made in Italy e trattative con diversi partner e talenti. L’aumento del prezzo degli abbonamenti da oggi anche in Italia, come nel resto del mondo. Il titolo che vola in Borsa. Ecco la risposta a chi pensava che Netflix potesse essere una bolla desinata a sgonfiarsi: una politica spavalda e aggressiva del colosso di streaming , forte di 104 milioni di abbonati in 190 paesi. A livello globale, Netflix impiega 3.500 persone. Amsterdam è la sede degli headquarters per Europa, Medio Oriente e Africa. La società dal 2016 ha raddoppiato i dipendenti e, in maggio ha annunciato la creazione di oltre 400 posti di lavoro entro fine 2018 nel customer service multilingue europeo.

Iniziative

Ogni territorio è prezioso, sostiene Ted Sarandos. Il responsabile dell’acquisizione dei contenuti di Netflix dal 2000 racconta in esclusiva a L’Economia del Corriere progetti e strategie, in relazione al nostro Paese. «Quando abbiamo lanciato Netflix in Italia nel 2015 la nostra preoccupazione era la rete fosse troppo lenta e che le persone non fossero abituate alla tv su Internet. Ma abbiamo scommesso che l’infrastruttura sarebbe migliorata e che la gente l’avrebbe considerato sempre di più come una fonte per intrattenimento di qualità. I gusti del pubblico italiano sono simili a quelli del resto del mondo, dove, ne siamo certi Suburra la serie avrà un grande successo, visto le ottime recensioni internazionali». Le aspettative sulle dieci puntate della prima stagione della serie ispirata a romanzo di De Cataldo e Bonini, che già Stefano Sollima aveva portato sul grande schermo, sono molto alte. Produzione Cattleya con Rai Fiction, regia firmata da Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi. Nel cast Alessandro Borghi e Claudia Gerini. «Siamo molto soddisfatti del risultato, eravamo già grandi fan del team creativo. Piacerà nel mondo grazie alla storia che, pur essendo molto italiana, riesce ad essere anche universale». L’impegno, racconta, è stato imponente. «Superiore a quello di un tipico programma tv americano: 147 giorni di riprese, 90 location diverse, 60 personaggi e 4.000 comparse». Cattleya e Raifiction sono stati i primi partner italiani della piattaforma Usa. Ma, conferma Sarandos, altri ne arriveranno. «Siamo aperti alla collaborazione con tutti i produttori e operatori». La forza degli italiani, sostiene, è la semplicità, «che, insieme all’attenzione al dettaglio rende la creatività incredibile». Vale per l’industria, dice e per i talenti. «Per noi è fondamentale trovare nuovi volti e trasformare la carriera di giovani attori come per esempio Claire Foy in The Crown. Penso che succederà lo stesso per il cast di Suburra». Entro fine anno saranno annunciate due nuove serie italiane. «Il pubblico le vedrà nel 2018 e 2019. Puntiamo a produrre altre cose nel vostro paese». Gli aumenti sugli abbonamenti in Usa e in Europa (1 euro per il piano standard, 2 per quello Premium, mentre il piano base resta 7,99 euro al mese), spiega la società, saranno utilizzati per il prodotto: quest’anno Netflix ha aggiunto oltre mille ore di contenuti originali. Dal 2012 ha investito 2 miliardi di dollari in produzioni europee (contenuti originali, in licenza e co-produzioni), con titoli come Marseille in Francia o The Crown in UK. La strategia è alternare prodotti globali ad altri destinati a livello locale.

La strategia

Consolidata la leadership della tv via Internet, e metabolizzate le reazioni dei potenziali concorrenti come Disney che ha annunciato per il 2019 il suo servizio di streaming («Potrebbe essere troppo tardi, al loro posto l’avrei fatto dieci anni fa»), per Netflix il terreno di gioco, soprattutto in Europa, è il cinema. Tra i grandi nomi entrati nella galassia, spicca Martin Scorsese, che ha appena iniziato a girare The Irishman. «Vediamo segnali molto promettenti, per noi è economicamente vantaggioso investire su film, così come su programmi tv. Già ora un terzo delle cose viste su Netflix sono film. Dal nostro punto di vista è più importante cosa si guarda piuttosto che dove lo si guarda». Ma, certo, non è Netflix a stracciarsi le vesti per il declino delle sale cinematografiche. «L’intrattenimento richiede tempi più immediati, per i film in molti paesi bisogna attendere mesi dopo l’uscita nelle sale per dvd o piattaforme. Questo sta contribuendo al distacco tra giovani e cinema». In quanto al rischio di overdose di contenuti (per fare un esempio, negli ultimi due anni, il numero di titoli disponibili in Italia è aumentato del 207%) Sarandos ostenta tranquillità: «La forza è la possibilità di scegliere. I gusti sono così diversi che possono servire cento serie per soddisfare dieci persone. Ci sono tanti programmi ma non tutti sono per tutti».

Stefania Ulivi, L’economia del Corriere della Sera

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