Beastie Boys, i ribelli del rap nel film di Spike Jonze

La storia dei tre adolescenti nerd degli anni 80 raccontata “in diretta” daAdam ‘Ad Rock’ Horovitz e Michael ‘Mike D’ Diamond nel documentario diretto dall’amico regista. Su Apple Tv +

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Nel 1986 il punk, quello dei Sex Pistols o dei Clash, quello originale e ribelle, era in molti modi tramontato se non addirittura sepolto. Poi arrivò un album, Licensed to ill, realizzato da tre adolescenti bianchi newyorkesi, dei nerd che avevano scelto la via del rap per far scoppiare una bomba sonora nel bel mezzo dell’America reganiana. Erano i Beastie Boys, erano divertenti, maleducati, ribelli, rumorosi, mescolavano rock e rap ed erano la cosa più punk in quel momento. Nei trent’anni successivi hanno ottenuto grandi, anzi enormi successi, hanno segnato la cultura giovanile in maniera indelebile, la cultura popolare con video e canzoni che sono entrati a far parte della ideale playlist collettiva, la Cultura con alcuni segni talmente forti che ancora oggi sono di esempio e di stimolo per molti altri giovani artisti, musicali e non. Bene, tutta questa storia è raccontata, con dovizia di particolari, in un bellissimo film, a metà tra il documentario e lo show, realizzato da Spike Jonze, amico e sodale della band da tantissimo tempo, che li ha ripresi sul palco di un teatro newyorkese mentre con video e audio alle spalle raccontano in prima persona tutto quello che erano, quello che nel tempo sono diventati.

Non è quindi un documentario vero e proprio La storia dei Beastie Boys, uscito in questi giorni sulla piattaforma streaming Apple Tv +, ma una divertente e completa autobiografia, raccontata “in diretta” da Adam ‘Ad Rock’ Horovitz e Michael ‘Mike D’ Diamond, che si muovono sul palco del Kings Theatre di Brooklyn davanti a un grande schermo sul quale scorrono le immagini e i video, le foto e i brani, di una vita intera. Che è la loro, ovviamente, è anche la cronaca di trent’anni di storia della musica, quelli in cui il rap si è fatto strada dai vicoli bui per arrivare a essere addirittura mainstream, quelli in cui un trio di ragazzini nerd si è trasformato in un trio di superstar, passando dall’esplosione dei videoclip al tripudio del rap, incrociando nel frattempo le mille rinascite è ri-morti del rock, i loro drammi personali, come la scomparsa del terzo componente della band, Adam Yauch, nel 2012, e i grandi drammi collettivi.

È una storia raccontata con un tono scherzoso e leggero, come è giusto che sia per una band il cui inno è stato ed è ancora Fight for your right to party, ma anche con una profondità e un’ampiezza notevoli, nulla viene dimenticato e tutto è messo in scena con attenzione. Si scopre, quindi, nel racconto, come i tre siano riusciti a mettere insieme stupidità e intelligenza, anarchia e ordine, ribellione e rivoluzione, impegno e leggerezza, machismo e buone maniere, in un racconto che ha il sapore della messa in scena teatrale, ben condotta Ad Rock e Mike D, ma anche del documentario, grazie alla regia di Jonze. La storia è ben raccontata, dagli esordi nelle cantine al successo planetario, alla classica bancarotta, al ritorno nei piccoli club e alla inevitabile rinascita fino all’ingresso definitivo nello spazio mitologico in cui oggi esistono ancora. Il film è soprattutto un bel viaggio negli anni 80, in un’adolescenza fatta di musica, divertimento ed eccessi, in una storia che ha come protagonista anche un produttore leggendario come Rick Rubin e un’etichetta discografica fondamentale per lo sviluppo del rap come la Def Jam, tra l’ultima grande era dei dischi in vinile e quella digitale.

Repubblica

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