Remo Girone racconta il suo nuovo ruolo: è il cattivo di “Furore 2”

Prima urla da razzista «Africa» a un siciliano; e poi al gestore dell’hotel che vuole scippargli, ex sopravvissuto al lager, dice sprezzante: «Non è colpa tua se sei ebreo». La new entry della seconda serie Furore (dal 18 febbraio su Canale 5, regia di Alessio Inturri) è Remo Girone, nei panni di Osvaldo Calligaris, criminale che nel dopoguerra rapisce neonati e commissiona omicidi.

Forse era dalla Piovra che non interpretava un ruolo così cattivo.

«Più che cattivo è pessimo, senza giustificazioni, è un ex podestà, pure fascista, ce le ha tutte. È vero, l’ultimo personaggio così perfido fu 17 anni fa, per la Piovra».

Insulta dando dell’africano, lei non è nato in Africa?

Ride: «Sì, in Etiopia, oggi Eritrea. Ho vissuto i miei primi 23 anni ad Asmara senza mai aver messo piede in Italia. Mio padre, piemontese, ex operaio della Fiat, aveva aperto un’officina meccanica, mia madre era emiliana. Si conobbero lì, al tempo in cui il fascismo dava la terra ai coloni. Dopo la guerra gli inglesi furono intelligenti, lasciarono fare tanta gente ritenendo che in fondo lavoravano».

Gli italiani che vivevano in Africa erano razzisti?

«Un po’ sì. Io studiavo nelle scuole italiane parlando poco in africano, giusto le parolacce. Ricordo gli spazi immensi, quando scoprii l’Italia, la campagna era come il giardino di una casa ad Asmara».

E quando arrivò per la prima volta in Italia?

«Nel 1971, dopo aver vissuto qualche giorno ad Asmara chiusi in casa, c’era la guerra civile, gli eritrei volevano l’indipendenza dall’Etiopia».

Che poi lei non ha la faccia da cattivo.

«Victoria, mia moglie, agli amici dice scherzando: dovreste vederlo a casa, quanto è perfido».

Il leggendario Tano Cariddi della Piovra.

«Venivo da Delitto e castigo a teatro, dove il regista Ljubimov tolse il pentimento di Raskolnikov, che c’è nel romanzo. E diventava una persona al di sopra della morale comune. Tano arrivò da lì».

Censure in quella fiction le aveste?

«Talvolta andava in onda sotto elezioni e ci furono cambiamenti in corso. Un deputato losco divenne nel doppiaggio ex deputato. Poi quel pazzo di Luigi Perelli, il regista, volle girare l’incontro a Roma tra un mafioso e un politico nel palazzo in cui aveva lo studio Giulio Andreotti. Il capo della Commissione di vigilanza insorse. Gianpaolo Cresci, uomo Dc in Rai, ci rassicurò: tanto non conta nulla, non vi preoccupate. Avevo un’idea dell’ilarità di Andreotti e a Cresci dissi che secondo me non s’era arrabbiato. Invece era furibondo».

Nella Piovra meglio Michele Placido o il suo successore Vittorio Mezzogiorno?

«Non giudico i colleghi, erano molto diversi e bravi tutti e due. Michele improvvisava di più, Vittorio aveva una formazione teatrale. Il giudice interpretato da Patricia Millardet? Grande talento, mi spiace che non si senta più parlare di lei».

Un buono l’ha fatto mai?

«Possono essere melensi. Sono stato Pio XII in versione buonista. Il papa sotto la guerra, persona controversa, però bisogna vedere le cose con l’occhio dell’epoca».

«Gomorra»?

«Mi piace, anche se è visto solo sul versante negativo, non si vede un poliziotto manco a morire. Scelta drammaturgica, per carità».

Valerio Cappelli, Corriere della Sera

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