La vita folle e tragica di Sinead O’Connor, dal riformatorio alla foto del Papa stracciata in tv

«Sono stata una persona molto travagliata». Tempo fa, dovendosi descrivere, Sinead O’Connor aveva usato queste parole, specificando anche una cosa però, dopo tante inquietudini: «Indietro non ci voglio tornare». È la vita, però, che sembra riportarla sempre al punto di partenza visto che ora, a 55 anni compiuti da poche settimane (l’8 dicembre), la cantante si trova ad attraversare quello che con ogni probabilità è il suo travaglio più grande: la morte di uno dei suoi quattro figli, Shane, scappato dall’ospedale in cui era stato ricoverato dopo che per due volte aveva tentato di togliersi la vita. Aveva 17 anni. O’Connor, nel messaggio con cui ha dato notizia della sua scomparsa, ha parlato di lui come «la vera luce della mia vita». Una luce che si è spenta, lasciando spazio ancora una volta al buio.

L’infanzia difficile

Buio che accompagna la cantante praticamente da sempre. Nata a Dublino nel 1966, la sua è stata un’esistenza difficile già dall’infanzia: al momento della separazione dei genitori, quando lei aveva 9 anni, era stata affidata alla madre — alcolizzata e depressa, morirà molti anni dopo in un incidente d’auto — diventando vittima dei suoi abusi e innescando quel rapporto di amore e odio con lei, poi cantato anche in diversi suoi brani. Una volta scoperti, era stato il padre a decidere di trasferire la futura voce più vellutata d’Irlanda in diversi collegi cattolici, andando a plasmare l’altra matrice di una relazione complessa, quella con la religione cattolica, detonata poi all’inizio degli anni Novanta quando — ormai famosissima — si è resa protagonista di gesti poi fissati nell’immaginario collettivo di un’epoca. Il più celebre era stato l’esibizione al Saturday Night Live, nel 1992, quando cambiò senza preavviso le ultime parole del testo di War, di Bob Marley, denunciando la pedofilia in certi ambienti cattolici e infine strappando davanti alle telecamere una foto di Papa Giovanni Paolo II, al grido di «combatti il vero nemico».

La depressione

Ragazza inquieta e sfrontata, ribelle nelle idee e anche nel look (i suoi capelli rasati hanno fatto scuola) ma che nella musica sembrava aver trovato una strada per sedare le sue ansie. Lei che già prima di diventare famosa era stata arrestata per furto, conoscendo dopo tanti collegi anche il riformatorio. Una vita di saliscendi percorsi a velocità folle, come le scale che era in grado di scalare con la sua voce, unica. «Nothing Compares 2 U» era diventata una delle più hit del decennio (nel 2015 ha dichiarato di non volerla più cantare, ndr.) e lei nel mentre era al centro degli scandali, per quel suo esporsi talvolta scellerato, subito bollato da chi ha l’etichetta facile come un comportamento squilibrato, «non normale». Criticata, accusata, attaccata, O’Connor rientra così in quello stato depressivo che già aveva conosciuto molto bene in passato.

Gli sfoghi sui social

Parallelamente alla musica, fanno parlare le sue scelte, con le proporzioni che, negli anni, sono andate sempre più ribaltandosi: a fine anni Novanta diventa prete di un movimento cattolico indipendente, decidendo di farsi chiamare Madre Bernadette Mary. La sua missione? «Salvare Dio dalla religione». Nel 2011 sposa Barry Herridge, da cui divorzierà 18 giorni dopo. E poi arriva l’epoca dei social network, dove la fragilità della cantante viene scandita da lei stessa, a chiare lettere. Come quelle di un suo post su Facebook, del 2015, in cui scriveva: «Le ultime due notti mi hanno distrutto. Ho preso un’overdose. Non c’è altro modo per ottenere rispetto… Finalmente vi siete sbarazzati di me». Parole lette come l’annuncio del suo suicidio. Non va meglio nel 2017, quando pubblica un video in cui dice: «Sono da sola, tutti mi trattano male e sono malata. Le malattie mentali sono come le droghe… E non c’è niente eccetto il mio psichiatra, la persona più dolce al mondo, che mi tiene in vita. Voglio che tutti sappiano cosa significa, e perché faccio questo video. Le malattie mentali sono come le droghe, sono uno stigma: all’improvviso tutte le persone che dovrebbero amarti e prendersi cura di te ti trattano male».

La conversione all’Islam

Quindi l’ultimo annuncio, nel 2018: «Sono orgogliosa di essere diventata musulmana. Questa è la naturale conclusione del viaggio di qualsiasi teologo intelligente. Tutto lo studio delle Scritture porta all’Islam. Il che rende ridondanti tutte le altre scritture. Mi verrà dato (un altro) nuovo nome. Sarà Shuhada Davitt». La sua ricerca della luce sembrava essere arrivata a un punto. Ma alla fine il buio è tornato, ancora una volta.

Chiara Maffioletti, corriere.it

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