Tiziano Ferro: “Ho vinto solitudine e depressione, ora sono un padre felice ma l’Italia sui diritti è arretrata”

Il cantautore presenta a Tgcom24 il nuovo album “Il mondo è nostro” che esce l’11 novembre

Tiziano Ferro non si è mai nascosto “parlando di astrattismo” e, come ama rivendicare, nei suoi brani ha sempre riversato barili di “dolore, fragilità, solitudine, incomprensione e ricerca“. Sincero nei dischi come nella vita, lo è in un modo ancora più potente nel nuovo album, “Il mondo è nostro“, che esce l’11 novembre e che il cantautore di Latina presenta in anteprima a Tgcom24. Tredici brani scritti durante la pandemia, in cui l’artista 42enne affronta tantissimi temi, dalla solitudine alla depressione fino alla paternità: “Spesso ho pagato per la mia sincerità. Se non avessi scelto, a monte del percorso che mi ha portato ad accettare la mia sfera sentimentale, di condividere questa mia parte personale con il pubblico, oggi non dovrei star lì a raccontare di quanto sia giusto essere padre o meno”. E sui diritti civili confessa…

Nell’album non mancano collaborazioni speciali, come quello con thasup (“r()t()nda”), Ambra Angiolini (“Amabra/Tiziano”), Caparezza (“L’angelo degli altri e di se stesso”), Roberto Vecchioni (“I Miti”) e Sting (“For her love”). Giovedì 10 novembre alle 13.40 andrà in onda in anteprima e in esclusiva su Canale 5 il videoclip de “La prima festa del papà“, mentre domenica 13 novembre Ferro sarà protagonista dello speciale “Verissimo presenta: io sono Tiziano” in onda su Canale 5 alle 16.30.

Tiziano, “Il mondo è nostro”, è un album scritto durante la pandemia: hai mai pensato o hai mai avuto la paura di non poter più tornare in Italia?
Non sono andato nel panico, ma quel pensiero ha sfiorato un po’ tutti. Non tanto di non tornare in Italia, ma ho creduto seriamente che non avrei più fatto concerti, che le persone non si sarebbero più riunite, che non ci sarebbero più stati assembramenti. Non mi ci sono seduto su, non è da me, ma non posso mentire che non c’è stato un momento in cui ho pensato.

A proposito di live, nel 2023 torni negli stadi, come hai immaginato i concerti?
Sto già pensando alla scaletta che non ti nascondo è molto complessa, si tratta o di fare un concerto di tre ore, e non credo di poter reggere fisicamente, o di fare delle scelte, qualcuno rimarrà deluso, ma la verità è che sono passati sei anni dall’ultimo tour nel 2017 e nel mezzo sono successe tante cose.

Come vivi questo ritorno?
Come qualcosa di religioso. E’ un atto di fede per chi ha aspettato così tanto, è stato bello e importante che la gente mi abbia aspettato nonostante io avessi previsto i rimborsi per i biglietti già acquistati. Per me è una festa, è un privilegio che la canzone la cantino tutti. Non mi stufo mai di cantare le stesse canzoni.

Come ti spieghi tutto questo amore del pubblico?
Non me lo spiego, sennò dovrei entrare in ambiti che non mi vedono particolarmente forte come ad esempio l’autostima. Lo accolgo e lo ricevo con gratitudine, per me è come se fosse un promemoria in cui mi dico ‘fai le cose come le vuoi fare’ perché se qualcuno ci crede e le vuole ascoltare è giusto così, è come una sveglia mattutina che mi aiuta a non dare niente per scontato. 

C’è un brano che chiude l’album, “Quando io ho perso te”, che è una lettera al Tiziano di vent’anni fa in cui dici che rifaresti tutto, errori compresi… tutti tutti?
Qualche photoshoppata qui e là la darei (ride, ndr). Sicuramente c’è stato un momento, quando avevo intorno ai 24 anni, in cui non ce la facevo più, non era la vita che volevo e che capivo… non avevo mai preso un aereo e ne prendevo quattro al giorno, vedevo Paesi che in realtà non vedevo perché stavo solo negli aeroporti, non mi sentivo in diritto di lamentarmi perché per quello che stava succedendo a me la gente avrebbe ucciso e quindi ‘zitto e vai’… in quel periodo forse sarebbe stato giusto fermarmi e chiedere aiuto, l’ho fatto anni dopo…

Vivi nella continua ricerca di te stesso, dovendo fare un bilancio, qual è la tua rinuncia più importante?
La rinuncia in realtà fa parte delle due cose principali che faccio nella vita: questo mestiere e avere una famiglia. Se la rinuncia la fai per quello che ami allora diventa un sano compromesso. Il mestiere ti fa rinunciare agli amici, alla famiglia, ad avere dei momenti per te stesso… ma ora pensando a quei due innocenti (i figli Margherita e Andres, ndr), mi terrorizza il fatto che il mio mestiere possa creare loro disagio, possa essere invadente e traumatizzante, questo mi terrorizza… ma come dico nella canzone ‘La prima festa del papà’ io ‘non sono Dio’ e mi abbandono a questa idea…

Come ti ha cambiato la paternità?
Dal punto di vista artistico non è cambiato molto perché ho sempre completamente riversato barili di vernici sulla tela, non ho mai centellinato, non ho mai parlato di astrattismo o della formula delle nuvole, ho sempre parlato di dolore, fragilità, di incomprensione, di ricerca… ho confessato di ascoltare Raffaella Carrà, cose mie… come persona sicuramente succede una cosa bellissima che deriva dalla stanchezza, il tuo ego passa in secondo, terzo, quarto piano perché non hai tempo, tagli tutti i rami secchi, non esistono più paranoie, si ristabilisce un equilibrio tra cosa è importante e cosa non lo è. La paternità, se la vivi sporcandoti le mani come faccio io con Victor, che non abbiamo aiuti, è davvero totalizzante.

Negli Stati Uniti, dove vivi, sono riconosciuti tanti diritti civili che in Italia sono ancora lontani. 
Siamo indietro. C’è urgenza di alzare l’asticella e lo si deve fare a prescindere dalla direzione politica: non credo sia cambiato molto con il nuovo esecutivo. L’Italia è un Paese che ha bisogno di costruire e di crescere, mi auguro non si perda tempo a distruggere. Io parlo di una storia fatta di due padri, ma non c’è bisogno di arrivare a quello per capire quanto siamo arretrati.

Da Los Angeles come vedi un’Italia dove contano di più i follower della musica?
Ma hanno davvero più successo quelli che hanno più follower? Apro il disco parlando di haters con ‘Il paradiso dei bugiardi’ e su chi millanta questa saggezza polverosa figlia dei social network… questa bella ipocrisia è molto interessante, la ammiro, ma penso sempre che non ho tempo da perdere, che devo andare a preparare tre concerti a San Siro. E poi i follower sono davvero persone che ti vogliono bene? A volte puoi anche seguire qualcuno perché ti sta antipatico, perché lo vuoi vedere sbagliare, perché è assurdo… Un certo tipo di popolarità viaggia sui social, è vero, ma una cosa è mettere un like e un’altra cosa è prendere un biglietto, acquistarlo e poi andare al concerto… è un atto di fiducia completo. Ci dovrebbero essere delle classifiche diverse, perché acquistare direttamente a scatola chiusa un album con 13 canzoni non può valere come ‘streammare’ la stessa canzone migliaia di volte.. Quindi, per tornare alla tua domanda: sarà vero che più follower significa avere più successo? 

Mi ha stupito la collaborazione con Ambra…
Avevo 14 anni nel 1994 quando Ambra ci ha cambiato la vita con il suo modo di essere. L’ho provocata scherzando e lei ha accettato la sfida e allora ho fatto diventare versi le nostre conversazioni. Giuro che non pensavo che lo facesse… rimarrà questa spilletta sul mio petto, ho riportato Ambra in un disco….

Si era parlato della tua presenza in gara a Sanremo, invece…
Ma perché lo dovevo fare? Io avrei ansa, già da ospite mi viene da morire, pensa all’idea di presentare una canzone dal nulla, che nessuno conosce… non si sa mai nella vita, sicuramente non adesso… magari un giorno imparerò e se lo farò non sarà per vincere.

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