Beatrice Venezi: «La vera parità? Parlare solo di bravura»

«Non importa se sia uomo o donna, conta la meritocrazia», sostiene il direttore (e non direttora) d’orchestra. Venezi è la padrona di casa del primo Festival di Mascagni, e qui ci racconta l’emozione. E il suo 2020, tra lockdown e ripartenza. E i 30 anni compiuti da poco

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Beatrice Venezi è la padrona di casa della prima edizione del Festival Mascagni che la sua città, Livorno, gli dedica. E che arriva, spiega il direttore d’orchestra, in un momento coraggioso: «Partire con un progetto nuovo nel 2020, dopo il lockdown, è un segnale bellissimo». Venezi guiderà l’Orchestra della Toscana nel concerto di gala dell’11 settembre in Terrazza Mascagni che

Sarà l’evento clou della rassegna (dal 9 al 19 settembre). Sul palco ci sarà anche il soprano Amarilli Nizza,  il tenore Angelo Villari e l’attore Luca Zingaretti.

Trent’anni, originaria edi Lucca, direttore d’orchestra acclamata a livello internazionale, inserita da Forbes tra i 100 giovani leader del futuro, Beatrice Venezi ha un grande amore (Puccini, a cui ha «dedicato» il suo primo album My Journey), e le idee chiare: «Sul podio indosso abito da sera e tacchi alti; non devo mascherarmi da uomo per dimostrare che so dirigere un’orchestra», ha ripetuto in più occasioni.

C’era bisogno di un Festival su Mascagni?
«Decisamente sì, credo il tempo sia maturo per questa figura. Di solito ci si ferma a Cavalleria rusticana o all’Amico Fritz, ma ci sono tante altre meraviglie che andrebbero riscoperte».

Com’è stato per la musica classica ripartire dopo il lockdown?
«A livello internazionale ho ricominciato quasi subito dopo, lo scorso giugno. E prima ancora avevo fatto un’esibizione con la Fenice via streaming. Molto strana. Perché il pubblico è a tutti gli effetti il terzo attore di un concerto, ho sentito come se mancasse un po’ di energia. E anche il distanziamento tra i musicisti non rende facile la connessione, ma l’importante è stato ripartire».

Ora torna a Livorno che è la città in cui ha debuttato con l’Orchestra della Toscana. Che effetto le fa?
«Ripensandoci sono passati tre anni, ma sono stati pienissimi. Valgono forse come quelli dei gatti. In mezzo ci sono stati tanti altri debutti, molti incontri fortunati con altre orchestre, ma quella della Toscana occupa sempre un po’ speciale».

Quant’è cambiata in questi anni?
«Adesso sono a un altro stadio, anche a livello di sicurezza personale, di tecnica. Il mio lavoro è sempre in divenire, acquisisci sempre più esperienza e preparazione. Oggi riesco a gestire meglio anche la parte emotiva».

Cosa significa oggi tenere la bacchetta in mano?
«In passato pensavo fosse un momento di potere, in alcuni periodi l’ho considerata una magia e oggi lo penso ancora. La musica è quello che amo di più, è un momento di immersione totale, il modo in cui riesco a esprimermi completamente».

Il 2020 è anche l’anno dei suoi 30 anni.
«Lo immaginavo un po’ diverso. Sono saltate tante cose, come le trasferte in Canada, Giappone, Armenia. Li ho compiuti all’inizio del lockdown, quando mi sono fermata per la prima volta dopo un periodo in cui mi spostavo come una pallina da flipper. E se lo considerassimo un anno di stasi, che i 30 li compio il prossimo anno? (ride, ndr)».

30 significano anche traguardo?
«Diciamo che fanno un po’ paura perché dai 20 ai 30 segnavi alcune cose, e ora dai 30 ai 40 devi iniziare a gettare ancora di più i semi di quello che verrà, devi progettare ancora di più. Scegliere bene».

Caratterialmente è una che progetta?
«Assolutamente, programmo tutto con largo anticipo».

Le soddisfazioni alle spalle, però, sono già tante.
«Sì, è vero, per questo bisogna progettare ancora di più pensando al futuro».

Ha un desiderio in particolare?
«Sì, ma sono molto scaramantica. Non mi sbilancio mai prima».

Raccontare come fa lei la musica classica anche via social funziona?
«È modo per avvicinare nuovi giovani alla musica classica, al di là degli appassionati di genere».

Il suo è un mondo prettamente maschile. Quanto è importante che le donne supportino le altre donne?
«Moltissimo, in qualsiasi settore. Le donne devono fare Rete, supportare le altre, certo non a prescindere dalla meritocrazia».

Lei preferisce «direttore» a «direttora».
«Lo trovo superfluo, forse anche controproducente. Meglio parlare della bravura, del talento, di un direttore, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna. Questa è la vera parità».


Stefania Saltalamacchia, Vanityfair.it

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