Pierluigi Diaco: «Vivo con il mio compagno Alessio e il cane Ugo»

A 15 anni intervistava politici a Italia Radio, a 16 conduceva un talk tv su Tmc.
«Per 10 anni sono stato in analisi, ora la mia vita è bellissima»

«Mi sveglio alle cinque. Alle sei, sono in radio. Poi, in redazione, da Maurizio Costanzo. Alle sette di sera, già ceno. Alle nove, sono a letto, se no non reggo. Prima, passo due ore con Alessio, il mio compagno. È la prima volta che ne parlo, ma condividiamo la vita da due anni. Nel weekend, anche d’inverno, andiamo al mare in scooter. E tantissimo al cinema. Abbiamo un bassotto molto simpatico: Ugo». Sorriso. Pausa. «La mia è una vita bellissima». Pierluigi Diaco il 23 giugno compie 40 anni. A febbraio, ne ha festeggiati 25 di carriera e sopravvivere all’etichetta di enfant prodige non sempre è stato scontato. A 15 anni, faceva interviste ai politici a Italia Radio; a 16, conduceva un talk tv su Tmc. Dopo, non si è mai fermato. Radio, televisione, giornali. E troppi che non si capacitavano di come facesse quel ragazzetto a intervistare tutti, a condurre programmi radio coi big della politica, uno con Piero Fassino, un altro con Walter Veltroni. Linus lo sminuiva dicendo che aveva inghiottito un pensionato. Indro Montanelli gli diede del «creteenager». Lui incassava e taceva. Oggi, conduce il seguitissimo Non Stop News su Rtl 102.5, con Fulvio Giuliani e Giusy Legrenzi, ed è autore del Maurizio Costanzo Show. Racconta: «I primi anni di lavoro sono stati entusiasmanti. Poi, fra i 25 e i 35 è arrivata una stagione di interrogativi, più che di certezze».
La costanza dell’operaio
In quei dieci anni, è stato in analisi: «Le esperienze di lavoro non si sposavano con l’età anagrafica. Mi dicevo che ero felice, ma non lo ero. Però non potevo lamentarmene, ero un privilegiato. Eppure, sentivo che mi stavo perdendo qualcosa, non sapevo cosa. La risposta me la sono data con il tempo, imparando una morale di sottrazione invece che di addizione. Facevo troppo: la mattina Radio24, dopo scrivevo per il Foglio e conducevo una striscia quotidiana su SkyTg24. Mi sono reso conto che l’importante non è esserci, ma essere». Erano gli anni in cui pensava di mollare tutto e iscriversi a Psicologia: «Soffrivo perché non venivo giudicato sulla sostanza, ma su pregiudiziali ideologiche o anagrafiche». C’era L’Espresso che titolava: «È nato un mito, anzi un mitomane». Aldo Grasso che scriveva: «Non ha un pensiero ma finge di averlo». Lui assicura: «Non mi sono mai offeso. Ho sempre compreso che un ambiente nelle mani di cinquantenni potesse essere scettico verso un ragazzino non ancora strutturato che aveva accesso a occasioni importanti». Dice: «Francamente, ho fatto tutto solo con la costanza dell’operaio. Da 25 anni, non c’è giorno in cui non faccia radio, scriva, faccia tv. Mi fermo solo ad agosto. E ogni cosa l’ho portata a casa andando a cercarla. Anche il primo programma tv. Andò così: invitai a parlare nel mio liceo Sandro Curzi, che mi offrì di visitare la redazione del Tg3, dove presi a passare tutti i pomeriggi. Poi, lui andò a Tmc. Io preparai il progetto di Tmc Giovani e si fece perché, senza conoscere nessuno, scrissi alla Telecom che me lo sponsorizzò».
Il rimpianto
C’era l’ottimismo, c’era la determinazione. C’erano le fragilità: «In passato, ho preso cocaina, come tanti ragazzi borghesi, seguendo un certo tipo di sceneggiatura. Non mi piaceva. Non mi faceva star bene. È stata un’esperienza circoscritta e occasionale». Ha un solo rimpianto: «Non aver fatto sentire abbastanza importante mia madre: vedova a 39 anni, ha cresciuto da sola quattro figli, ha sempre amato solo noi e mio padre. Le devo molto della serenità che ho oggi». In definitiva, riflette, «mi ha fatto meglio la radio che l’analista. Ho imparato ad ascoltare le storie degli altri, il tono di voce, come lo dicono, perché lo dicono. Il merito è di Renzo Suraci, l’editore di Rtl. Ha creduto in me e da lui ho accettato critiche feroci. Con lui ho imparato a sentire ogni mattina l’umore del Paese, prima che il mio. Ha la pazienza di occuparsi delle mie zone d’ombra, come Irene Ghergo, la mia migliore amica, e Costanzo». A lui, lo unisce la ricerca del padre: «Parliamo molto di cosa significhi non averlo. Lui l’ha perso a 15 anni, io a cinque». Gianni Boncompagni, invece, che prima di lui ha condotto alla radio lo storico Chiama Roma 3131, gli ha insegnato la leggerezza, «a unire l’alto e il basso e approfondire quando ce n’è bisogno».
L’attrazione
L’amore, racconta, l’ha conosciuto sui libri di Pier Vittorio Tondelli, di Pier Paolo Pasolini, ne La morte della bellezza di Giuseppe Patroni Griffi: «Perciò sono sempre stato attratto da persone che erano un misto di cultura e perversione intellettuale». Ne conseguivano relazioni complesse. Con ragazze, o «semisessuali» con ragazzi. Una volta, s’innamorò di una coppia. Un lui e una lei. S’incontrarono a Stromboli. Poco dopo, i due vivevano con lui a Roma. Poi, di punto in bianco, sparirono: «Avevo idealizzato, come spesso mi capita. Anzi, mi capitava». Vladimir Luxuria paventò un suo coming out all’Isola dei famosi, che non ci fu: «Non credo nelle definizioni. La sessualità è un dettaglio della personalità, non una patente d’identità. Non mi sono mai chiesto se ero etero, bisessuale o che altro. Ho sempre condiviso serenamente le mie storie con amici e familiari. Non sono stato sereno, semmai, dentro relazioni in cui la sessualità non si univa al sentimento. Poi, quando le due cose coincidono, è un momento: lo senti, è l’amore».
I progetti
È così che è andata due anni fa. Lui e Alessio si sono conosciuti a una festa, prima di partire per le vacanze: «Ci siamo telefonati tutti i giorni e un mese dopo, rivedendoci, ci siamo riconosciuti». Abitano insieme vicino al Colosseo. Il sabato sera arrivano gli amici. Si suona la chitarra, cucina Pierluigi. Che con Alessio non esclude un’unione civile. Vorrebbe anche un figlio, ma non sfiderà le leggi per averlo: «Con una legislazione adeguata, lo adotterei, ma la dimensione genitoriale può essere vissuta in altri modi. Io, il mercoledì pomeriggio, faccio da zio al figlio di un amico. Lo prendo all’asilo, lo porto al parco. Mi piace quello che pensano i bambini, mi piacciono i loro capricci, i loro sogni. Aveva ragione Gaber quando cantava “non insegnate ai bambini la vostra morale”». L’altro giorno, il bimbo voleva saltare da un albero all’altro, come le scimmie: «Non riusciva. L’ho aiutato, ho fatto la scimmia anch’io. Mi ha regalato due ore di gioia. Quei momenti, come quelli passati al mare, sono l’altrove di cui non posso fare a meno».
di Candida Morvillo, il Corriere della Sera

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