Alla presentazione delle prime attese sequenze del film di Denis Villeneuve, il regista, il produttore Ridley Scott e il nuovo protagonista che racconta quando da ragazzo vide il film per la prima volta
Trent’anni dopo gli eventi narrati nel primo Blade Runner, ambientato nel 2019, il regista franco-canaedese Denis Villeneuve mette l’acceleratore all’aerocar della polizia di L.A., la mitica Spinner ‘copiata’ in seguito da Luc Besson ne Il quinto elemento, e ci porta in un universo ancora più dark del primo. “Merito del direttore della fotografia Roger Deakins, un onore vederlo al lavoro in maniera libera e selvaggia! ci dice Villeneuve, ora alle prese con un reboot pericoloso, Dune, il passo falso di David Lynch. “Non sono un filmmaker che schiva le sfide, io mi butto” sorride. “La fantascienza è un genere che tutti i registi – dentro e fuori Hollywood – intendono esplorare. La considerano un punto di arrivo. Se non ti prendi dei rischi in questo mestiere, perdi ispirazione e contatto con la realtà. Mi sono sempre sentito in dovere di rappresentare ciò che mi circonda, sia che si tratti di una dimensione distopica sia che parli di cartelli messicani (Sicario). Il set di Blade Runner è speciale: mi porterò dietro un ricordo al giorno”.
Subito a margine di un evento “live” su Facebook, incontriamo Gosling, Ford e Villeneuve a Playa Vista, una comunità urbana a ovest di Los Angeles County, lungo la Silicon Beach dominata dalle startup hi-tech che si estendono da Santa Monica a Venice. Su un maxischermo di 300 mq scorrono intanto le immagini di Blade Runner 2049, al cinema dal 5 ottobre distribuito da Warner Bros. Il runner di nuova generazione, Ryan Gosling, indossa una giacca e sotto una t-shirt anni Ottanta, stile Arcade, in omaggio a Ridley Scott: “Blade Runner ha reso i miei anni Ottanta surreali ma le auto, le costruzioni artigianali, le luci al neon e i costumi hanno fatto credere a tutti che quel mondo parallelo fosse possibile, che fosse già qui. Quello che lo spettatore ricorderà, dopo la visione, è l’impiego di tecnologia ed effetti speciali, qualcosa che ha incantato persino me prima di ogni ciak. E c’è un discorso molto più ampio sull’etica della scienza; esploreremo l’empatia dei replicanti, il valore dell’essere umano. Ero giovane quando vidi il lavoro di Ridley Scott per la prima volta: avevo davanti un futuro da incubo e al tempo stesso romantico, non sapevo come sentirmi a proiezione finita: ero triste oppure eccitato di diventare un adulto? Ancora oggi non ho risposte”.
La Repubblica