“IL CINEMA PER NOI NON È FINITO. POSSIAMO ANCORA MIGLIORARE”

I due attori (84 e 79 anni) presentano la commedia “Insospettabili sospetti”

Grandi vecchi del cinema mondiale, Morgan Freeman e Michael Caine si prendono in giro con grazia, sottolineando le differenze che li rendono coppia perfetta, il primo decisamente scanzonato, il secondo più riflessivo, il primo molto americano, il secondo molto inglese. A una sola domanda rispondono in coro, quella sul come si siano trovati a recitare insieme in una storia che fa ridere, ma anche riflettere sui tanti problemi della terza età: «Ci siamo sentiti come in una “comfort zone”, eravamo molto rilassati. In genere nei film dove recitano attori giovani si avverte forte la competizione, la voglia di prevalere dell’uno sull’altro. Per noi non è così, ci conosciamo da anni, ci stimiamo e ci piacciamo, lavorare insieme è stato piacevole». Sul modello del classico di Martin Brest Vivere alla grande, girato nel ‘79, con George Burns, Art Carney e Lee Strasberg protagonisti, Insospettabili sospetti, regia di Zach Braff (nei cinema dal 4 maggio con Warner), racconta il colpo organizzato dai tre amici Willie (Freeman), Joe (Caine) e Al (Alan Arkin), ridotti sul lastrico, privati della pensione, strozzati da un sistema economico che penalizza sempre i più deboli: «È una commedia sulla gente vera – dice Caine -. E questa, quando ho letto la sceneggiatura, è la cosa che mi è più piaciuta. Sono cresciuto in una famiglia semplice, della classe operaia, conosco questi problemi e ho apprezzato il fatto che il film li affronti in una chiave non politica, ma di commedia. Sono convinto che, in questo modo, la gente li recepisca meglio».
Alle prese con la più improbabile delle rapine («Siete infiltrati?» chiede qualcuno a un certo punto, e loro pronti: «Mah, piuttosto infeltriti»), decisi a giocarsi tutto e a ricominciare una vita nuova, Willie, Joe e Al offrono un modello convincente di vecchiaia felice e consapevole. Qualcosa che Freeman e Caine conoscono bene: «Che cosa’altro potrei fare ? – risponde il primo a chi gli chiede perchè continui a recitare -, andarmene in pensione? Proprio no, penso che continuerò a fare film finché potrò, anche su una sedia a rotelle».
Per Caine è ancora tempo di verifiche e conferme: «Ho iniziato a recitare in teatro, ma fin da allora il mio obiettivo non è mai stato diventare ricco e famoso. Piuttosto volevo migliorare, modificare il mio accento, diventare sempre più bravo. Questo atteggiamento non mi ha mai abbandonato. Anche adesso, quando giro un film, penso sempre che la mia prossima performance possa essere migliore».
La giovinezza di Paolo Sorrentino, con Caine direttore d’orchestra da tempo lontano dal podio, ruotava intorno alla difficoltà di diventare anziani: «Certo, ma il punto di vista era molto diverso. Ho amato quell’esperienza, è stata una delle più belle della mia carriera». E questo, aggiunge l’attore con uno dei suoi sorrisi pieni di humour, «anche se poi Paolo ha preferito Jude Law per il ruolo del Papa giovane».
Essere star venerate dai fan comporta noie con cui i due interpreti hanno imparato a fare i conti: «Quello che più mi pesa – dice Freeman – è non poter essere libero di andarmene in giro a passeggiare. Per questo vivo a Charleston, un piccolo centro, un posto tranquillo dove posso dedicarmi ai miei hobby, come il golf, senza suscitare troppa curiosità». Per Caine la vera croce sono i selfie: «Li considero un modo molto pesante di intromettersi nella vita degli altri. Ho pensato che vorrei mettere una taglia su ogni scatto e mi è anche capitato di incontrare persone che, dopo essersi fatte fotografare accanto a me, mi hanno chiesto: “Scusi, ma lei come si chiama?”».

La Stampa

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