Eleonora Giovanardi: «Una secchiona è per sempre»

L’attrice, tra i protagonisti de «La Vita Promessa 2», non è mai stata una che improvvisa. E le idee le ha sempre avute chiare. Dalla prima lettura di poesie, passando per Checco Zalone e la Paolo Grassi. Sapendo di poter contare su «radici forti, quelle a cui ti appoggi nei momenti di difficoltà»

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è eleonora-giovanardi.jpg

Eleonora Giovanardi, 37 anni, emiliana, appassionata fin dal liceo di «drammoni» e teatro, è diventata famosa al cinema nel 2016 come co-protagonista di Quo Vado?, il film record dei record di Checco Zalone, per poi passare al cinepanettone Natale a Londra di Lillo e Greg e agli sketch in tv al fianco di Crozza. Legge del contrappasso? Assolutamente no. «Da Crozza puoi solo imparare e da Luca (vero nome di Zalone, ndr) altrettanto. È stata un’esperienza bellissima, e uno spartiacque per la mia carriera».

Il 2020 l’ha iniziato con tre fiction Rai (Come una madre, La Vita Promessa 2, L’alligatore di Daniele Vicari che andrà in onda il prossimo autunno), e uno spettacolo teatrale, La prova: «Resto una secchiona patologica».

Motivo della diagnosi?
«Mi porto sempre dietro un quadernetto su cui metto nero su bianco tantissimi schemi, scena per scena, per tenere sempre le cose sotto controllo. Sono maniacale, precisa, pignola».

Primi sintomi?
«Ho frequentato tutto il liceo recitando, con il teatro scolastico, e debuttando a 14 anni in un piccolo teatro di Reggio Emilia. Era una lettura di poesie ma ho provato un’emozione pazzesca. E il giorno dopo il vuoto cosmico. Dopo mi sono laureata in Comunicazione, con lode, all’Università di Bologna. Ma il teatro non l’ho mai lasciato, così sono entrata alla Paolo Grassi. Ho studiato anche al Conservatorio, violino».

I suoi genitori l’hanno capita subito?
«Sì, nonostante la grande lontananza della mia famiglia dal mondo dello spettacolo. Mia madre è una neurologa, papà fa il meccanico, mia sorella è medico veterinario. Siamo sempre stati molto uniti. Sono cresciuta in campagna, davanti a un prato immenso. Nonna allevava i conigli, ed era stato mio nonno muratore a costruire quella casa, e di fronte quella degli altri parenti. Eravamo in 11-12 tutti nello stesso cortile. Ci chiamavamo i “terroni” del Nord. Ma quando sono andata via per studiare, mi sono portata quel mondo dietro. Le radici sono importanti, sono quelle a cui ti appoggi nei momenti di difficoltà».

Prima casa «da grande»?
«In via Todaro a Bologna. Con tre amiche. Ognuna dopo ha trovato la propria strada, ha fatto grandi cose. Si studiava da matti, ci si impegnava. Lì dentro ho imparato a pensare per conto mio».

La polemica dell’ultimo Sanremo è stata sul «passo indietro delle donne». Anno 2020, a che punto siamo?
«Siamo messe abbastanza bene, ma si può sempre fare di più. Io ho sempre avuto una mentalità molto libera, e sono un giudice impietoso di me stessa. Nel mio piccolo, ho sempre scelto ruoli da interpretare che mi rendessero orgogliosa, ringraziando di poter scegliere. Sul lavoro sono stata molto fortunata, ho sempre interpretato donne libere: l’avvocato, il medico, l’architetto. Mai la femme fatale.

Si è chiesta come mai?
«Ho un’immagine pubblica molto forte, anche se nel privato sono debole e fragile come tutte. Quello della seduttrice è un femminile che mi intimorisce, e potrebbe essere una bella sfida».

Vanityfair.it

Torna in alto