SOLUZIONE SUI CANONI FREQUENZE

image001 (2)(di Andrea Secchi, purchase Italia Oggi) Il governo torna alla carica sui canoni delle frequenze radiotelevisive. Il ministero dello sviluppo economico ha infatti pronto il decreto per applicare i nuovi criteri decisi dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ma in maniera temporanea, hospital per poi cambiare la legge Monti del 2012 che ne detta i principi.Lo stratagemma utilizzato sarebbe quello di far pagare agli operatori di rete un acconto sul totale dovuto, in modo tale che entro il 31 gennaio la delibera dell’Agcom sia comunque applicata, anche se non in maniera definitiva. L’importo dell’acconto dovrebbe essere stabilito operatore per operatore, e dovrebbe essere pari al 40% di quanto pagato da ciascuno nel 2013. Quell’anno la Rai aveva sborsato 26 milioni di euro, Mediaset 20 milioni (ma aveva versato effettivamente 11 milioni in attesa delle nuove regole) e Telecom Italia Media 1,5 milioni, giusto per citare i tre maggiori operatori.
Il decreto è al momento al vaglio della Corte dei conti a cui sono stati chiesti chiarimenti in modo da muoversi con le spalle coperte nel momento in cui si rivedrà la legge Monti (dl n. 16 del 2012 poi legge 44 del 26 aprile 2012).
Si tratta dell’ennesimo capitolo della vicenda dei contributi per l’utilizzo delle frequenze televisive dopo che prima di Natale era stato bocciato l’emendamento del governo alla legge di stabilità che prevedeva di prorogare il regime precedente per un anno in attesa di cambiare la legge Monti. La commissione bilancio del senato, infatti, aveva deciso che non si poteva sospendere la delibera dell’Agcom ma che era necessario ripartire dalla legge.
Un passo indietro è tuttavia utile per chiarire quello che sta succedendo. Mentre in passato, nel mondo televisivo analogico dove non c’era distinzione fra operatori di rete e fornitori di contenuti, a pagare i canoni erano i gruppi televisivi nella misura dell’1% del proprio fatturato, con i nuovi criteri della delibera 494/14 i canoni sono invece in capo agli operatori di rete del digitale terrestre che detengono le frequenze e che devono pagare sulla base dei multiplex detenuti, non più del fatturato. Il problema, secondo il sottosegretario Antonello Giacomelli, è che con il nuovo sistema il gettito sarebbe inferiore rispetto a quello precedente è che in questo modo si creerebbe disparità fra gli operatori puri e quelli verticalmente integrati, ossia ai grandi gruppi (Rai e Mediaset) che hanno al loro interno sia l’operatore di rete che il fornitore di contenuti. Secondo stime circolate, solo nel primo anno l’ammanco per lo stato sarebbe di una quarantina di milioni.
Le prossime mosse dipenderanno come detto molto dalla risposta che i giudici daranno al Mise (e indirettamente al ministero dell’economia che ha collaborato con il primo per questa soluzione). La Corte dei conti dovrà infatti chiarire come debba essere interpretata la parità di gettito richiesta dalla legge, ossia se sia giusto ritenere che il canone pagato dagli operatori di rete debba coprire interamente tutto il gettito del canone precedente, che però era calcolato sul fatturato dell’intera attività televisiva e quindi su una base molto più ampia. Da questo potrà dipendere un trattamento diverso per gli operatori integrati. Se poi anche gli editori di contenuti puri (che già pagano per essere trasportati sui multiplex) possano essere chiamati a pagare un contributo è ancora un’altra questione, su cui non sembra esserci un orientamento politico.

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