Le mie pagelle dei giornalisti in tv

di Cesare Lanza per LaVerità
*Hanno collaborato Donato Moscati e Romina Nizar

Siamo alla penultima puntata: i giornalisti opinionisti in tv. Come i politici, sono centinaia: ci vorrebbe un libro per citarli tutti. Si trova «la qualsiasi»: direttori, ex direttori, polemisti furenti e snob, morbidi, sarcastici, ironici. Soprattutto quelli che accendono lo share… Chiedo venia agli assenti. Nella prossima e ultima puntata, gli opinionisti che si occupano di sport e di intrattenimento.

FULVIO ABBATE (Palermo, 20 dicembre 1956). Più scrittore che giornalista anche se ha scritto per La Stampa, Il Mattino, Il Messaggero, Sette, II Foglio, Il Fatto quotidiano e l’Huffington Post. Ospite assiduo dei talk politici. Di Chiara Ferragni ha detto: «Mi fa orrore. Mi piacciono di più le povere standiste del parmigiano, quelle che nel supermercato ti invitano ad assaggiarlo, o le varie miss tappa delle gare ciclistiche. Ha milioni dì follower? E sti cazzi! Che cazzo me ne importa, è lo spettro assoluto dell’insignifieanza». Andrebbe a letto con la moglie di Emmanuel Macron, ma non con Maria Elena Boschi. Collezionista di avventure di letto, che racconta SENZA PELI SULLA LÌNGUA.


GIANNI BARBACETTO (Milano, 21 marzo 1952) È una firma del Fatto quotidiano. In tv non solo opinionista ma anche collaboratore ad Annozero di Michele Santoro e Blu Notte di Carlo Lucarelli. La sua vittima preferita è Vittorio Sgarbi, memorabili le loro liti in tv. Nel tempo libero ama suonare la batteria. MALIZIOSO E PROVOCATORE.

 

 


FRANCO BECHIS (Torino, 25 luglio 1962}. Attualmente direttore di Corriere dell’Umbria, Corriere di Rieti, Corriere di Viterbo, Corriere di Siena e Corriere di Arezzo. Si firma anche con gli anagrammi Fosca Bincher e Chris Bonface. Ecco una sua recente frecciata: «Gentile Asia Argento, le avanzassero 400.000: euro per non fare sesso con lei, mi contatti. Ho una fila sterminata di pretendenti. Grazie». TUTTOLOGO INFORMATO.


MAURIZIO BELPIETRO (Castenedolo, 10 maggio 1958). Conduttore in tv prima con L’antipatico, poi con La telefonata, nel 2016 alla guida di Dalla vostra parte (programma chiuso perché, si dice, dava troppo spazio al populismo). «Si documenta in modo quasi maniacale, è aperto e cordiale con tutti…»: così lo descrive Luigi Bisignani in L’uomo che sussurra ai potenti. Invece, in tv, oggi appare come uno spietato opinionista: sorridente ma freddo, inesorabile. E molto scomodo: La Verità è la sua linea, portata avanti con coerenza anche da altri nostri colleghi presenti in tv: Massimo de’ Manzoni, Mario Giordano e Francesco Borgonovo. INFLESSIBILE.


PIETRANGELO BUTTAFUOCO (Catania, 2 settembre 1963). Collabora con Il Fatto quotidiano e Il Foglio, Il Sole 24 Ore e Il Tempo. Debutta in tv nel a 998 alla conduzione di Sali e tabacchi su Canale 5, programma di seconda serata voluto dall’allora direttore Maurizio Costanzo e per La7 ha condotto Otto e mezzo con Alessandra Sardoni nel 2007 e ha collaborato con Giovanni Minoli in Faccia a Faccia. Scontro in diretta con la giornalista Maria Teresa Meli perché considera «volgare speculazione» l’allarme di quelli che vedono in alcuni atti violenti un ritorno della destra estrema: ricorda i casi di Simone Cristicchi e Gianpaolo Pansa, autori «oscurati» a causa delle posizioni politiche: «Nessuna levata di scudi per loro». Per Buttafuoco sono polemiche inutili, «minchiate». Altro duro scontro con Adriano Celentano per opposte valutazioni su papa Francesco. INDIPENDENTE, PRONTO AD ACCENDERSI.


MARIO CALABRESI (Milano, 17 febbraio 1970). Ha diretto La Stampa per sei anni, poi alla guida della Repubblica, successore di Ezio Mauro. Nel 2011 ha condotto per Rai 3 il programma Hotel Patria. Disprezzato dal professor Paolo Becchi, che ha definito La Repubblica il giornale dell’orfano, ha replicato con un tweet: «I deliri di un cretino non meritano troppo spazio e attenzione». Ha una passione per i formaggi (il Verzin di Occelli è il suo preferito), per i peperoni in bagna cauda e le pesche di Canale con l’amaretto che gli preparava la nonna. «Il mio vino del cuore è l’Arneis». Buon giornalista, inadeguato come direttore, peccato! PRIVILEGIATO.


ALDO CAZZULLO (Alba, 17 settembre 1966). Dopo 15 anni a La Stampa nel 2003 è passato al Corriere della Sera, firma di punta (alla direzione…). Centellina le apparizioni televisive, dal 2004 pubblica un libro all’anno. Ha scritto che Sergio Marchionne aveva la forfora sulle spalle. Marco Travaglio: «Vuole fare il direttore, ma… nessun traguardo gli sarà precluso, a parte uno. Quando un cazzullino si affaccerà tutto sorridente in via Solferino, alla portineria del Corriere della Sera, chiedendo di salire in direzione, un robusto e malmostoso usciere lo metterà alla porta. No, guardi, signore, non compriamo niente. E qui non c’è niente da chiedere». UNGHIATE PIÙ RARE DELLE CAREZZE.


MARCO DAMILANO (Roma, 25 ottobre 1968). Dovunque! Il direttore dell’Espresso è tra i più assidui presenzialisti dei salotti politici televisivi, oltre ad essere ospite fisso del programma di La7 Propaganda Live con Diego Bianchi. Massimo D’Alema a Piazzapulita gli diede dello stupido. Ma non lo è affatto, furbo sì. POLITICAMENTE CORRETTO.

 


FERRUCCIO DE BORTOLI (Milano, 20 maggio 1953). Presidente della casa editrice Longanesi, è stato direttore (recordman) del Corriere della Sera e anche del Sole 24 Ore. Nel 2009 rifiutò la presidenza della Rai. Misurato, sobrio: «Mangio solo verdure bollite e pasta scondita». E la televisione? «Devo confessare che la guardo pochissimo. Forse non la guardo per niente». In compenso, sceglie e gestisce con attenzione le presenze nei talk. È stato forse il mio miglior allievo. Memorabile la polemica con Maria Elena Boschi, per le rivelazioni nel suo ultimo libro (minacciato di una querela mai pervenuta). È NATO DIRIGENTE.


MATTIA FELTRI (Bergamo, 23 giugno 1969). Figlio di Vittorio, ha scritto per il Foglio, Libero e La Stampa. Apprezzato diffusamente, con notevoli riconoscimenti, a volte punzecchiato dal padre. Violentissimo verso Marco Travaglio: «Questa mattina si occupa di me, nei soliti modi disonesti. E uso il termine “disonesti” sapendo di usarlo e che cosa comporta. Lo uso perché la disonestà di stamattina ha qualche cosa di ulteriore e di imperdonabile. Lui sa (ci conosciamo, senza frequentarci, da una ventina d’anni) che sono lento all’ira e lascio passare tutto, o quasi. Ma stavolta mi sembra davvero troppo…». La ragione della contesa? L’uso delle intercettazioni su Renzi padre e figlio. L’INCONTENIBILE IRA DEL MITE.


STEFANO FELTRI (Modena, 7 settembre 1984). La Gazzetta di Modena, Il Foglio, Il Riformista e Il Fatto quotidiano, di cui è vicedirettore. Oltre che opinionista in tv è stato anche nella squadra di Otto e mezzo con Lilli Gruber. Con una delegazione di parlamentari fu ricevuto dal presidente siriano Bashar Assad a Damasco. L’intervista, costituita da domande concordate in precedenza, ha permesso ad Assad di accreditarsi una volta di più come baluardo contro il terrorismo islamico. E per questo… HA SUBÌTO CRITICHE SENZA SENSO.


VITTORIO FELTRI (Bergamo, 25 giugno 1943) Sempre più veemente in televisione. Non ama essere interrotto durante i suoi interventi, altrimenti o sbotta 0 si alza e se ne va. Mi fermo qui. Credevo che esistesse una sincera e forte amicizia, poi una sera a cena e successivamente in un articolo mi ha insultato e offeso senza che ne capissi le ragioni. Certo non riferisco gli insulti che gli vengono rivolti, senza riguardi. MI ASTENGO, NESSUN GIUDIZIO.

 


LUCIANO FONTANA (Frosinone, 11 gennaio 1959). Prima all‘Ansa e all‘Unità per poi arrivare nel 1997 al Corriere della Sera, di cui attualmente è direttore. In tv lo si vede solo per i grandi eventi politici. «Non mi piacciono l’accademia, le discussioni, le lungaggini, non andare dritti al punto. E poi non mi piacciono le chiacchiere di corridoio, i pettegolezzi, sono una cosa che proprio non apprezzo. Infatti non ho mai risposto, che so, a Dagospia… mai in vita mia… Intanto ci sei finito, in un certo senso è comunque un riconoscimento… faccio il mio lavoro e quando finisco di lavorare me ne vado in campagna o in montagna, a camminare. Non mi piace andare alle feste, non mi piace frequentare i salotti, questa è la mia vita. Ho un’età sufficientemente avanzata per non cambiarla». ISTITUZIONALE, NON POLEMIZZA.


CARLO FRECCERO (Savona, 5 agosto 1947). Gran curriculum televisivo. Direttore di Italia 1, Rai 2 e Rai 4. Nel 2002 bersaglio dell’editto di Silvio Berluseoni, finì in quarantena. Nel 2012 candidato alla presidenza della Rai, ruolo che venne affidato ad Anna Maria Tarantola. Nel 2015 nel cda, sostenuto dai 5 stelle. Per lui il talk show è un genere al tramonto: «È figlio di un’epoca che permetteva a tutti di dibattere ed interagire con la cosa pubblica. I talk oggi affondano nella disaffezione, rivelano l’inerzia». Vittorio Sgarbi: «Carlo Freccerò ha smesso di pensare da molti anni. Non per ignoranza, ma per assenza di testa». Ed Enrico Mentana se le legata al dito da quando il consigliere Rai «in quota M5S» lo ha definito «lottizzato» dai socialisti. «Mi critica perché è avvelenato, voleva essere al posto di Antonio Campo Dall’Orto», ha replicato Freccero. COMPETENTE E TORMENTATO.


ALAN FRIEDMAN (New York, 30 aprile 1956). È corrispondente per l’International Herald Tribune e per il Financial Times. In tv nel 1995 ha ideato con Giovanni Minoli e Myrta Merlino Maastricht – Italia, uno dei primi programmi a occuparsi di economia. Storica la sua lite con Vittorio Sgarbi. ABILE NEL PROMUOVERSI.

 


MASSIMO GIANNINI (Roma, 6 febbraio 1962). Attualmente direttore di Radio Capital, ex firma del Sole 24 Ore, della Stampa. Odio e amore con la Rai, che prima lo ha voluto per l’eredità di Giovanni Floris a Ballarò, poi lo ha esonerato nonostante i buoni ascolti. In odore di licenziamento durante una puntata disse: «La Rai mi può licenziare, il Pd proprio no. La politica non decide i palinsesti». È tornato a Repubblica. «Non frequento salotti, neanche culturali. Non vedrete mai foto mie nel Cafonal di Dagospia. Ritengo sia sano che la vita privata e quella professionale rimangano ben distinte (…) Mi sono sempre presentato come uno serioso, algido. E invece in privato sono simpatico, me lo dicono tutti. Anche grazie alle mie imitazioni… Sono un romanista sfegatato, uno che va allo stadio. E una fede che condivido con Floris, anche se io sono più romanista di lui. Sono stato un calciatore professionista, un numero 10. A 14 anni ero nei pulcini della Roma, poi ho dovuto lasciare per via della scuola. Ma ho sempre continuato a giocare e a 17 anni ho anche detto di no al Milan. Poi mi sono fracassato un ginocchio e la mia carriera è finita». SUSSEGUIOSO, SINISTRA LIBERA E INQUIETA,


PETER GOMEZ (New York, 23 ottobre 1963) Segue Indro Montanelli prima al Giornale poi alla Voce. Per 26 anni ha scritto sull’Espresso per poi passare nel 2009 al Fatto quotidiano di cui dirige la versione online. In tv protagonista di duri scontri, conduce La confessione su Nove. FINTO BURBEBO.

 


MASSIMO GRAMELLINI (Torino, 2 ottobre i960). «Il Caffè» è diventata la rubrica di apertura del Corriere della Sera di cui è vicedirettore. In televisione, grazie a Fabio Fazio, si è fatto spazio prima come opinionista a Che tempo che fa, poi con la conduzione di Le parole della settimana. Rai 3 gli ha affidato il primetime Cyrano, chiuso anticipatamente a causa dei bassissimi ascolti. FALSO E CORTESE.

 


TOMMASO LABATE (Cosenza, 26 novembre 1979). Comincia sul Riformista, poi passa a Vanity Fair, all‘Unità. Attualmente, oltre alle innumerevoli ospitate non solo di politica ma anche calcistiche, è una delle firme del Corriere della Sera. Non solo opinionista ma anche conduttore di In onda e Fuori Onda, entrambe per La7. L’ironica invettiva di Vittorio Sgarbi nei confronti dei conduttori di Fuori Onda: «Tommaso Labate e David Parenzo: quasi mentecatti, coppia omosessuale perversa!» UN COSENTINO COME ME, EMERGENTE, EVVIVA.


EZIO MAURO (Dronero, 24 ottobre 1948). Direttore della Stampa prima e della Repubblica dopo. Sporadiche le apparizioni televisive, per i 40 anni del rapimento di Aldo Moro ha realizzato uno speciale su Rai 3 dal titolo Il Condannato, con un buon riscontro di pubblico e di critica. Per lui il gossip è un aspetto negativo del giornalismo italiano… è soltanto un modo per colpire qualcuno, esattamente come quando si lancia una pietra nascondendo la mano. Molti (quorum ego) gli rimproverano l’esagerata e sciagurata valorizzazione di Roberto Saviano. CULO DI PIETRA, HA SUPERATO SCALFARI.


MARIA TERESA MELI (Roma, 11 agosto 1961). Da 15 anni scrive sul Corriere della Sera rivelando retroscena della politica italiana. Sostenitrice instancabile di Matteo Renzi. «Maria Teresa Meli mi ha insultato in tv, la querelo». Ad annunciarlo è Renato Brunetta, allora capogruppo di Forza Italia alla Camera, dopo il botta e risposta con la giornalista. «Mi odia, ha problemi psicologici gravi, comprensibili anche», gli ha risposto la Meli dallo studio, prima di dargli del «buffone». «Lei è una buffona, incapace e asservita a Renzi». SCUSI MELI, MA RENZI UN DIFETTO LO HA?


ANTONIO PADELLARO (Roma, 29 giugno 1946). Tra i fondatori del Fatto quotidiano, direttore fino al 2015. Inizia la sua carriera a l’Ansa per poi passare al Corriere della Sera e alla direzione dell’Unità. Molto richiesto in tv perché sa esprimere opinioni forti e dure, ma rispetta gli interlocutori. EQUILIBRATO, ANCHE CON IRONIA.

 


SERGIO RIZZO (Ivrea, 7 settembre 1956). Nel 2007 ha scritto, con Gian Antonio Stella, La Casta sugli sperperi della classe dirigente italiana. Nel 2017 dal Corriere della Sera è passato a La Repubblica come vicedirettore. Libero di mente, verso destra e sinistra, bravo a inscenare polemiche coinvolgenti. APPUNTITO.

 


EUGENIO SCALFARI (Civitavecchia, 6 aprile 1924). Tra i fondatori della Repubblica e dell’Espresso. Controverse le sue interviste a papa Francesco. In tv lo invitano a pavoneggiarsi con finto riguardo, qualche volta cade nella trappola. Non si ritira ed è un peccato perché è stato un mito del giornalismo e ora ha difficoltà evidenti. Il suo editore Carlo De Benedetti lo ha definito «rimbambito» e «ingrato». Replica: «Non è stato né fondatore né cofondatore di Repubblica. I soldi non lo legittimano alla parola fondatore». Quanti soldi erano? «Cinquanta milioni», che De Benedetti diede a Scalfari intimandogli: «Non lo racconti, ma non lo dimentichi». «E io non l’ho dimenticato», aggiunge velenoso Scalfari. «Ha contribuito con 50 milioni ad un capitale di 5 miliardi. Non sono abituato a fissare i prezzi della gratitudine. Sicuramente ce ne siamo ricordati quando poi gli abbiamo venduto Repubblica». De Benedetti, sottolinea, «non ha mai fatto l’editore. È stato l’amministratore dei suoi beni». DOVREBBE FARE COME GRETA GARBO: RITIRARSI.


ANDREA SCANZI (Arezzo, 6 maggio 1974). È passato per molti quotidiani dal Manifesto al Riformista e dall‘Espresso a Panorama. Ha trovato la sua isola felice nel Fatto quotidiano. In tv non solo politica ma anche calcio, ha condotto su La7 Futbol, e musica (due spettacoli teatrali dedicati a Giorgio Gaber e Fabrizio De Andrè) come giurato al 68° Festival di Sanremo. Scanzi vs Sgarbi, uno scontro durissimo. «Chiedere un parere politico a Sgarbi è curioso perché ha cambiato più partiti politici e idee che mutande», ironizza Scanzi. Replica: «E tu sei un morto di sonno che non si candida ma fa politica, fai c…are». «Sei una prostituta di basso livello politico», ribatte ancora Scanzi, «finocchietto rotto in v…», strilla Sgarbi. Scanzi poi si confida: «Fino a un anno fa si diceva che fossi gay, invece non lo sono, e neanche bisessuale». «Mi piacciono le donne, anche troppo», racconta a Vanity Fair. «Nel mio matrimonio l’ho pagata. Traggono in inganno gli orecchini, gli anelli. Una volta, su consiglio di Aldo Busi, ho provato a togliermeli, ma dopo un mese me li sono rimessi».ECLETTICO PREZZEMOLO DOC.


BEPPE SERVEGNINI (Crema, 26 dicembre 1956) È direttore di Sette, settimanale del Corriere della Sera, autore e conduttore di programmi come Italians e L’erba del vicino entrambe in onda su Rai 3. Un personaggio ormai storico e una nuova imitazione destinata ad essere ricordata: nella prima puntata del 2018 di Fratelli di Crozza, tutti i venerdì su Nove, Maurizio Crozza porta in tv una new entry: Severgnini, con le sue «perle di sagacia». LINEARE COMPITINO.


MARCELLO SORGI (Palermo, 31 marzo 1955). Dopo una breve parentesi alla direzione del Tg1 torna alla Stampa. Cristo è ancora fermo a Eboli secondo il giornalista Sorgi, che ha fatto infuriare la popolazione lucana dopo aver detto in trasmissione a Ballarò, lo scorso 5 aprile, che la Basilicata è una delle regioni più desolate d’Italia e ci vivono mucche e galline. INTELLIGENTE NELL’ANALISI POLITICA.


MARCO TRAVAGLIO (Torino, 13 ottobre 1964). È tra i più assidui ospiti dei talk. Il direttore del Fatto quotidiano è tra gli ospiti più taglienti. Lunghissima la lista dei suoi epici scontri televisivi per la gioia dello share. Di recente, su Rocco Casalino: «Dovrebbe imparare un po’ di stile dal presidente del Consiglio». Durissimo botta e risposta con Maria Elena Boschi: «In un Paese serio si ama la verità. Sono convinta che, se fossi stata un uomo, Travaglio non mi avrebbe riservato lo stesso trattamento. Mi odia». Travaglio ha concluso il suo intervento dicendo che la carriera politica della sottosegretaria alla presidenza del Consiglio doveva chiudersi dopo che è emerso, secondo lui, che ha mentito su Banca Etruria. INVETTIVE IMPERDIBILI.

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