Venezia (che lo fischiò) celebra il “Citizen Rosi”

L’omaggio, diretto dalla figlia Carolina e Didi Gnocchi, ripercorre la storia d’Italia attraverso i suoi film

È allo stesso tempo l’omaggio più intimo e amorevole, quello di una figlia verso il padre amato, e più pubblico e doveroso.Nel documentario Citizen Rosi si mescolano questi due aspetti insieme al tentativo, molto ambizioso, di raccontare la storia d’Italia attraverso l’analisi di alcuni film di Francesco Rosi, arrivando fino ai nostri giorni per capire che cosa è accaduto dopo i grandi temi affrontati dal regista napoletano morto quattro anni fa: «Dei grandi misteri della storia d’Italia, dei problemi che i suoi film hanno posto, oggi cosa sappiamo in più di allora? Su quali sentenze, su quali documenti, possiamo contare oggi? Cosa avrebbe scelto di raccontare Rosi del nostro tempo e quanto il suo cinema ha aiutato almeno due generazioni a prendere coscienza della realtà?». Queste sono le domande che Didi Gnocchi e Carolina Rosi, figlia del regista, si sono poste nel film presentato ieri fuori concorso (e prossimamente su Sky Arte) che hanno scritto (con Anna Migotto e Fabrizio Corallo) e diretto. Così, partendo dai i suoi più celebri film di impegno civile, da Salvatore Giuliano e Lucky Luciano («la madre di tutte le trattative Stato-Mafia» dice il regista) a La sfida, Le mani sulla città, Il caso Mattei, Cadaveri eccellenti e Tre fratelli, le registe ricostruiscono una storia d’Italia parallela mettendo in fila le immagini dei film non nell’ordine in cui sono stati girati ma in base alla precedenza storica dei fatti di cronaca che raccontano.Accanto alle sequenze dei film ci sono quelle, particolarmente commoventi, di Carolina Rosi seduta accanto al padre sul divano del suo studio mentre insieme rivedono tutti i titoli di una filmografia che, accanto ai titoli di impegno civile, ha saputo muoversi anche in un contesto internazionale con opere come Cronaca di una morte annunciata da Gabriel García Márquez e La tregua da Primo Levi. In queste immagini, riprese da una videocamera fissa, c’è il Rosi più intimo e divertente, soprattutto negli affettuosi battibecchi – quasi degli sketch familiari – con la figlia. I due stavano lavorando all’idea di un documentario che il regista voleva non fosse celebrativo su se stesso. E così è stato. Tanto che spesso in Citizen Rosi (titolo preso da quello di una grande retrospettiva negli Stati Uniti) ci si dimentica del regista per l’ampio spazio che viene dato alle testimonianze di chi lo ha conosciuto bene, come Roberto Andò che è stato pure suo assistente alla regia, oppure Giuseppe Tornatore, Marco Tullio Giordana e Raffaele La Capria, e di chi ha lavorato sui grandi temi affrontati dal cinema di Rosi, dalla speculazione edilizia alle mafie, con le testimonianze di Lirio Abbate, Vincenzo Calia, Gherardo Colombo, Nino di Matteo, Nicola Gratteri, Antonio Nicaso e Roberto Saviano.Una scelta di interventi in linea con il cinema di Rosi che, ricorda la figlia Carolina, «ha una funzione sociale frutto del senso del dovere di mio papà, della sua voglia di tramandare, far riflettere e far capire, con la maggior chiarezza possibile, quelli che sono stati i periodi particolarmente bui del nostro paese». L’obiettivo è anche quello di arrivare alle generazioni più giovani che magari non hanno visto i film di Rosi, un autore che la figlia stessa ha scoperto in età più adulta: «Ho capito molto tardi il valore del suo cinema, è stato scioccante vedere tutti i suoi film in fila perché sono lo specchio di un Paese che ne ha viste tante». Anche gli incredibili fischi e buu proprio qui a Venezia nel lontano 1963 quando Le mani sulla città vinse il Leone d’Oro.

Pedro Armocida, ilgiornale.it

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