EDOARDO RASPELLI, IL CRITICO PRINCIPE NELLA GASTRONOMIA “40 ANNI FA ERO UN CRONISTA, CESARE LANZA MI HA RESO FAMOSO”

raspelli mela verde

(Giancarlo Dotto, salve DivaeDonna) Lo immagino e lo vedo “Mister Gaudente” alias Edoardo Easpelli, il più famoso e il più epicureo tra i critici gastronomici italiani, a bordo della Audi 3000 integrale, la benda gastrica che al di sotto della cintura lo cinge e lo protegge, il suo quintale leggero e allegro come non mai, moderato al pedale e verbalmente incontinente. «Sto guidando solo, in direzione dell’autostrada, nel parmense, a Colorno, il cuore della food valley, la zona del culatello, del Parmigiano reggiano e della trasformazione dei maiali. Ho appena finito di registrare la prima puntata della diciottesima edizione di Mdaverde, la numero 507». Chimi parla è un uomo di 66 anni che deve aver mentalmente stabilito un’equazione perfetta tra l’età della sua « celebre trasmissione (da metà
settembre su Canale 5, domenica, ore 12), e quella della sua vocazione ai piaceri della vita. Maggiorenni entrambi e felicissimi di stare al mondo. Si è appena occupato di un’azienda, padre e figlio, che ha impiantato uno dei più grandi allevamenti italiani di lumache per la ristorazione. Melaverde è la sua casa virtuale, il bolide gommato la sua casa viaggiante. «Gli ho fatto fare, ahimè, quasi duecentomila chilometri in poco tempo. Col bendaggio gastrico che ho messo tre anni fa non mangio più come una volta, ma prima era una meraviglia. Se dovevo andare da Milano a Bari mi prendevo tutto il tempo, la sera cena a Bologna, il giorno dopo un brodetto 0 una zuppa di pesce dalle parti di Ancona e Vasto o l’agnello del Molise». 1 percorsi del tuo palato. Oggi come ti sei alimentato? «In un agriturismo di Colorno. Per via del bendaggio gastrico, mi fa fatica mandare giù la pasta e allora mi sono fatto fare un passato di verdura, un po’ pannoso, pazienza, e poi lumache alla bourguignonne. Sono riuscito a mangiare anche un pezzettino d’oca». Ci spieghi cos’è il bendaggio? «È un anello che ti mettono attorno allo stomaco. Ti stringe alla bocca dello stomaco. Se non mastichi bene o mangi velocemente, le cose ti restano sullo stomaco». Il segreto è la masticazione lenta. «Un supplizio per uno come me. Io sono vorace da sempre. Mi piace spazzolare i cibi. Sono arrivato a pesare
centoventi chili anche se da ragazzino mi chiamavano “Mauthausen” per via della magrezza». Poi che succede? «Succede che, nel 1975, Cesare Lanza, allora direttore del Corriere d’Informazione, mi ordina: “Da oggi non ti occupi più di cronaca ma di ristoranti. Mangi, paghi, ti rimborsiamo noi, e racconti il ristorante”. È stato lui a farmi inventare in Italia la critica gastronomica». Da cronista di nera? «Fui il primo giornalista ad arrivare sul posto dove ammazzarono il commissario Calabresi. Mi sono fatto tutti gli anni di piombo». Lanza ti ha cambiato la vita. «Mi ha reso famoso. Ho subito minacce, inclusa una corona di fiori sotto casa. Scrissi nella puntata successiva della rubrica: “Volevo ringraziare chi mi ha mandato la corona di fiori ma anche rassicurarlo: la sua cucina è sicuramente fetente ma non mortale”». All’origine di Edoardo Raspelli gastronomo? «Non certo mio padre. Era un grande uomo, ma lavorava negli ospedali, mangiava nelle mense dove si respirava il puzzo di alcol ed etere misto all’aglio e alla cipolla. Tornava a casa e non sopportava nessun odore, nemmeno quello del burro fuso». Un padre sobrio e riluttante. «Io, mia madre e il mio fratellino andavamo dalla zia vedova di un ricco milanese che aveva un relais sul lago di Garda e lì ci abbuffavamo d mozzarella di bufala campana. In cantina trovavo le bottiglie di Barolo». Quando arriva la qualità? «Alla fine degli anni 70 con Gualtiero Marchesi e la nuova cucina italiana». Con Raspelli arriva il primo implacabile censore. «Non mi definisco un critico, un gastronomo, ma un cronista. Racconto quello che mangio e quello che vedo. Io non sono un cuoco. Non posso contestare i cuochi». • • Quando entri in un locale? «Vado a
lavarmi le mani e vedo lo stato del gabinetto, poi chiedo subito la carta dei vini e il menu». Hai assicurato palato e olfatto per 500mila euro. «È una polizza che faccio da quindici anni. Mi costa tremila euro l’anno. L’ho fatta per vanità più che altro. Sono l’unico al mondo che si è assicurato per la perdita del gusto». Diciotto anni di “Melaverde”. Un caso raro di longevità televisiva. «L’idea di un agronomo, Giacomo Tiraboschi. Io sono arrivato due mesi dopo come inviato nei ristoranti. Quando Toni Garrani, il conduttore, lasciò, mi assegnarono il suo posto». Tu ed Ellen Hidding, la tua partner attuale. «Non ce la tiriamo. Io non faccio il divo. Ellen è la mammina brava e professionale, disponibile. Insieme agli altri facciamo scoprire le belle, infinite cose del nostro Paese». Vi accusano di privilegiare il Centro-Nord. «Il problema è economico. Noi partiamo da Milano. Un conto è andare a Cuneo o Vipiteno, altra cosa andare in Sicilia. Questo non ci ha impedito di raccontare la mozzarella di bufala campana, le verdure di Battipaglia, gli oli di Puglia o la pesca del tonno». >*> Una tua stroncatura celebre. «Quando scrissi che le celebri tagliatelle al rosso d’uovo del ristorante milanese di Carlo Cracco erano “una cagata pazzesca”. Intervistato al Tg2, Carlo Cracco disse che lo aveva chiamato il padre esortandolo a togliere il piatto dal menu. Lui non lo tolse, ma lo modificò». Esperienze disgustose? «Non citiamo il ristorante, esiste ancora, nell’Appennino italiano. In un piatto di funghi sott’olio ho trovato delle mosche morte. Me lo sono fatto riportare e c’era una ciocca di capelli». Ti piace Cannavacciuolo? «Non guardo la televisione. Vedo solo quello che faccio io, se la voce mi tremava… Posso dire che certe parolacce contro colleghi e concorrenti, se le scrivessi io mi toglierebbero la camicia a furia di querele». Tutti cuochi in tivù oggi. «Prima imperversavano i bruciapadelle, oggi nella maggioranza sono bravi, anche se poi fanno gli sponsor delle patatine industriali». Moglie e figli ti assecondano nella passione per il cibo? «No, anche se mia moglie Clara l’ho conquistata al ristorante, nel 70. È bravissima ai fornelli, ma detesta cucinare, è più pigra di me. Ha messo il bendaggio tre anni prima di me, quando arrivò a pesare cento chili, essendo alta uno e sessanta. Ora a casa mia si mangia poco, un piatto e un frutto». I due figli? «Simona, psicoioga e volontaria in Palestina, e Matteo, ingegnere, sono magri, quasi ascetici, ma con un grandissimo palato». Esiste il cibo afrodisiaco? Joe Bastianich sostiene che sia una fesseria. «C’è un cibo afrodisiaco. Colei che sta seduta a tavola con te. Le ostriche le mangi con una coppa di champagne a lume di candela e tendi la mano a lui o a lei. Nasce lì l’erotismo». Nella Grande abbicata di Marco Ferreri ci si ammazza col cibo. «Non concepisco il suicidio col cibo. Si potrebbe provare con un grande vino rosso… No, mi viene il vomito solo al pensiero. Il cibo è felicità».

Torna in alto