Pedro Almodóvar: «Il mio film tra autobiografia e memoria»

Nell’intervista di copertina del numero di «Vanity Fair» in edicola, il regista riflette sull’età: «Vado verso i 70, non sono ancora vecchio ma ci sono vicino». E racconta gli anni della movida: «Mi sono salvato dagli eccessi grazie alla mia vocazione». Nella lunga conversazione c’è spazio anche per rievocare gli anni in seminario: «Fu un’esperienza atroce. C’erano moltissimi abusi soprattutto tra i bambini più piccoli»

A quasi 70 anni, li compirà a settembre, per Pedro Almodóvar è giunto il tempo delle riflessioni e del ricordo: «Che serve a tenerti compagnia, a stare meno solo, ad accettare la vecchiaia che per Philip Roth, uno che la sapeva lunga, non era una malattia, ma un massacro». Nel ricordare e nel riflettere sull’età che avanza: «Una cosa la so già: sarò un vecchio arrabbiato, uno che da un lato capisce che il corpo perde colpi e dall’altro si infuria. Non credendo in un dio non ho risolto i miei problemi con la morte e non capirla e rifiutarne l’idea rappresenta un problema oggettivo».

Almodóvar racconta nessi e ragioni del suo ultimo film, il ventunesimo, Dolor y Gloria, in concorso a Cannes. Il racconto chiaramente autobiografico di un regista anziano (interpretato da Antonio Banderas) che ricorda la sua vita, a partire dall’infanzia della Mancha: «Non essendo mai stato un nostalgico, è difficile che per indole volga lo sguardo al passato», spiega il regista. «Erano 15 anni che non mi guardavo indietro ed è avvenuto nuovamente perché in età matura ho avvertito una sensazione strana. La sensazione che c’era qualcosa della mia infanzia che non mi piaceva e, nonostante avessi girato su quell’età due film di stampo opposto, La mala educación e Volver, non ci avevo riflettuto abbastanza». Nell’intervista Almodóvar descrive gli anni in cui lasciò il suo piccolo paese d’origine per perdersi nella creatività e negli eccessi della Madrid della Movida: «Avevo una vocazione molto concreta: volevo fare il regista. E non avevo nessuno che mi facilitasse il percorso. Sapevo che riuscire o meno dipendeva solo da me. Dal disordine mi ha salvato la vocazione».

E definisce il suo lavoro con parole nette: «È un mestiere che ha a che fare con l’incertezza, la parola che alla fine lo definisce meglio di tutte le altre. Un regista che pensa di avere sufficiente esperienza per dire “il mio prossimo film andrà bene” non lo capirò mai. Il prossimo film può andare sempre male e non dipende da quanti ne hai messi alle spalle o da quanto domini il linguaggio, ma da una serie di fattori insondabili» e affronta anche il tema dal disgusto per il sistema educativo religioso che lo vide come alunno in seminario.

Un’educazione pessima a suo dire dal punto di vista didattico: «Sicuramente non volevo diventare prete, ma avrei voluto imparare qualcosa, apprendere, sapere di più sui miei dubbi precoci legati all’esistenza di Dio e al senso della vita. Ma fu un’esperienza atroce. Fecero di me un bambino incolto e ignorante che passava il tempo cantando, con insegnanti del tutto inadeguati al compito» e inquietante sotto altri aspetti. «In collegio» racconta «c’erano moltissimi abusi, soprattutto tra i bambini più piccoli. Avevo 10 anni e con i miei coetanei passavo 24 ore al giorno. In camerata, di notte, ci raccontavamo le nostre esperienze. Mi ricordo di almeno venti bambini che vivevano nel collegio ed erano stati molestati. Ci provarono anche con me, ma riuscii sempre a scappare. C’era un prete che in cortile mi dava sempre la mano perché gliela baciassi. Io quella mano non l’ho mai baciata. Fuggivo. Fuggivo sempre e sotto i portici del chiostro, quando ero solo, non camminavo ma correvo. Avevamo paura».

Nell’intervista esclusiva a Vanity Fair, Almodóvar rievoca anche la frustrazione di vedere i colpevoli farla franca: «Le voci degli abusi erano arrivate oltre le mura del collegio e i casi erano così concreti e così numerosi che la direzione dei salesiani non poté far altro che intervenire. E come intervennero? Cambiarono collegio ai sacerdoti mandandoli in un collegio di adolescenti. Nessuna punizione».

Durissimo poi il giudizio del regista sulle responsabilità del Vaticano: «Io non so se il Papa stia attuando una rivoluzione o se non stia facendo niente. Quello che so è che non sta facendo a sufficienza. Non solo contro gli abusi, ma anche con tutto ciò che ha a che fare con la sessualità dei preti. Al Papa non è mai passato per la testa di pensare al fatto che uomini e donne sono esseri umani e hanno desideri che non si possono tagliare come si taglia il ramo di un albero. Sono sicuro che se si concedesse l’addio al celibato, il 90 per cento degli abusi scomparirebbe. E lo stesso vale per il ruolo delle donne che non possono dir messa né dare la comunione. In un momento storico in cui il femminismo rialza la testa, la Chiesa continua a considerare la donna un essere inferiore senza alcun diritto».

Malcom Pagani, Vanity Fair

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