Ghiaccio, Fabrizio Moro debutta alla regia: «Una storia di speranza che nasce in periferia»

«Ma io so’ bono o so’ cattivo?». Inizia con una domanda Ghiaccio, prodotto da Francesca Verdini e distribuito da Vision Distribution, l’esordio alla regia di Fabrizio Moro con Alessio De Leonardis. E una risposta da trovare sul ring, quando tutti gli affetti più importanti della propria vita sono in ballo e saltano e sospirano insieme a noi. Ad ogni pugno e a ogni caduta da cui ci si rialza. Come fanno Giorgio, interpretato da Giacomo Ferrara, e Massimo, portato sul grande schermo Vinicio Marchioni. Un ex pugile che per Massimo diventerà non solo l’allenatore che lo salva dalla strada ma anche il padre che lo farà salire sul ring per «cambiarla davvero questa vita». 

Girato a Roma, in quelle borgate che Moro e De Leonardis conoscono da vicino, Ghiaccio racconta una storia d’amore universale. «L’amore per una donna, per una mamma, per uno sport, per i figli. Un concetto che si espande e collima con quello dell’amicizia», spiegano i due registi. Con un messaggio che vuole essere soprattutto di speranza. «Per i ragazzi che vivono in periferia e sono abbandonati dallo Stato. Fantasia, forza, amore e soprattutto un motivo per salire sul ring ogni giorno e combattere la vita», sottolinea Moro, appena rientrato dal Festival di Sanremo dove ha presentato il brano Sei tu, contenuto nel nuovo Ep «La mia voce» e parte della colonna sonora del film.

Il film è presentato al cinema con un’uscita evento di tre giorni: 7,8,9 febbraio.  «Il nostro messaggio di speranza e di rivalsa nei confronti della vita che spesso è difficile, complicata e ingiusta è affidato ai due protagonisti che cercano in modi diversi di aiutarsi, di darsi, di mettersi in discussione, di rischiare tutto. Abbiamo cercato di restituire un’immagine cruda con colori incisi e severi di quella realtà di periferia di cui molti parlano ma che in pochi conoscono. Di quelle origini difficili che spesso ci confondono: ci pongono dalla parte del bene o del male? Dei buoni o dei cattivi?». Quelle stesse borgate che entrambi i registi conoscono in prima persona, lì dove sono cresciuti. 

Giorgio, occhi fragili e pugno forte, si muove nelle strade della sua borgata con lo sguardo sempre in difesa, appesantito dall’eredità pesante lasciata dal padre. Massimo, ex pugile, ritrova in Giorgio, giovane e bisognoso di una guida, il suo motivo di riscatto dalla vita. La sua vittoria, sebbene intrisa di dolore, sul ring. 

«Se c’è una cosa che nella vita non si deve mai perdere è la speranza, anche quando tutto sembra perduto. Speranza che spesso riesce a fondersi con la libertà, o con la voglia di ottenerla. Speranza che diventa motivazione. I guerrieri veri possono anche perdere, ma dalle loro sconfitte imparano. E risorgono». 

vanityfair.it

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