Nino Frassica compie 70 anni: «Devo tutto a Arbore, ho detto sì a troppe pacchianate»

Nino Frassica, l’11 dicembre lei compie 70 anni: è una buona o una cattiva notizia?
«Cattivissima, sto prendendo un avvocato per controllare all’anagrafe se è vero. Mi sembra impossibile. E me ne accorgo soprattutto ogni volta che cambio decina. Mi dà fastidio non poter sfuggire alla mia età, sui giornali c’è questa strana usanza di mettere nome cognome ed età. Ma a chi interessa? Comprerò tutte le copie per non farla sapere».

Lei quanti anni si sente?
«La metà. Trenta».

Quali sono stati i suoi maestri, da dove è venuta l’ispirazione per la sua comicità?
«Principalmente due fonti. La goliardia di Alto Gradimento fu una rivoluzione. Prima si diceva solo Buonasera signore e signori, e al massimo si raccontava una barzelletta. Arbore, Boncompagni, Bracardi e Marenco invece hanno rivoluzionato la radio sovvertendo i luoghi comuni. Sono stati come i Beatles per la musica, hanno dimostrato che si poteva fare anche altro».

La seconda fonte?
«Cochi e Renato sono stati fondamentali per la mia comicità, il loro surrealismo così chiaro e semplice è stata un’altra rivoluzione. È vero che c’era il teatro dell’assurdo, il nonsense, Ionesco e Beckett, però sono stai loro a portarlo nel varietà. È normale che io abbia attinto da altri, il mio scopo vero è arrivare a un mio stile, mi piacerebbe che mi venisse riconosciuta una certa originalità».

Ha conosciuto Arbore grazie a un messaggio che lei gli lasciò in segreteria: disse che era un suo ammiratore (suo di Frassica) e voleva parlare con lui (lui Arbore).
«A Renzo debbo la mia carriera. Se non avessi fatto i programmi con lui avrei fatto comunque questo mestiere ma non avrei avuto le porte aperte come mi è accaduto con il successo di Quelli della notteIndietro tutta!. Dopo quei programmi mi hanno chiamato tutti. Renzo è un maestro, è stato sempre giovane, anche adesso nonostante l’età. È uno che vuole sempre vedere cosa c’è di nuovo. Non finirò mai di ringraziarlo».

Ora l’eredità di Arbore l’ha raccolta Fazio.
«Fabio è uno che cerca sempre cose nuove e originali. Ha creato con il tavolo di Che tempo che fa, con quegli inviti (Ale e Franz, Forest), uno spazio di comicità intelligente. Complice l’orario (finiamo a mezzanotte) sono tornato a essere quello della notte».

Con Don Matteo e Terence Hill sono 20 anni di successo straordinario.
«Con lui sono diventato il Bud Spencer della fiction. Siamo una coppia, ma ognuno con un ruolo preciso e ci troviamo benissimo. Non ho mai incontrato una persona così cortese, aggettivo che non si usa mai. È veramente perbene, un gran signore».

Il giorno da incorniciare?
«Quando Renzo mi chiamò dopo Quelli della nottee mi propose di fare il presentatore di un programma che ci saremmo inventati. Ecco, quando mi offrì Indietro tutta! fu il giorno più importante della mia carriera. Anche se c’erano altri coprotagonisti, lui in quel caso mi affidava il programma».

La cosa più brutta che ha fatto?
«Tante. Come alcuni film che pensavo fossero diversi e poi mi sono trovato in mezzo a vere pacchianate».

Chi è il più bravo attore comico?
«Carlo Verdone. Come racconta lui l’italiano medio non lo fa nessuno. La commedia italiana è lui, anche se non sono per forza tutti belli i film che ha fatto. Le sceneggiature a volte lasciano a desiderare, ma come attore è impeccabile, perfetto».

Le piace la tv di oggi?
«Quella d’autore non c’è più, c’è solo la tv contenitore. Ogni tanto si trova qualche esperimento comico diverso. Valerio Lundini è sicuramente una novità».

Come passa il lockdown?
«Ho scritto un libro nuovo che esce a gennaio, Vipp (Einaudi), con una «p» in più per esagerare. Parla del mondo dello spettacolo e mi pongo come cronista di quello che vedo, alla mia maniera: è tutto esasperato. È La grande bellezzaLa dolce vita messi su carta. Per il resto non esco di casa, tranne la domenica per andare da Roma a Milano da Fazio. E non mi avvicino a nessuno. Se tutti facessero come me, a quest’ora non ci sarebbe più il virus».

Per chi vota?
«Sono sempre stato verde, radicale, a volte non votante. In passato ho votato per Pannella. E poi va a simpatia: più del partito scelgo la persona».

Adesso chi le piace?
«Non c’è un Pannella».

Crede in Dio?
«Nel privato non si sa. Ufficialmente sono credente e praticante. Diciamo che per ragioni di lavoro, con il pubblico di Don Matteo, devo essere per forza credente».

Renato Franco, Corriere.it

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