Corte Ue: programmi tv sul cloud solo se autorizzati

Video “on demand” circoscritti dal diritto d’autore: in particolare, la videoregistrazione su cloud va autorizzata dal titolare dei diritti sull’opera videoregistrata. È quanto affermato oggi l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue con le conclusioni nella causa C-265/16.

La vicenda

Vcast Limited ha citato l’emittente televisiva Rti davanti al Tribunale di Torino, chiedendo l’accertamento della legittimità del proprio servizio di videoregistrazione in modalità “cloud computing”. Con questo servizio, il cliente sceglie sul sito di Vcast il canale televisivo e l’orario in cui intende effettuare la videoregistrazione. Vcast capta il segnale televisivo secondo la richiesta e lo registra su cloud. La copia registrata resta poi nella disponibilità esclusiva del cliente, che vi può accedere in ogni momento.

Secondo Vcast, il proprio servizio rientra nell’eccezione di copia privata, al pari del noleggio di videoregistratori: per la duplicazione delle opere protette non occorre quindi l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore (tra cui le stesse emittenti televisive), anche se a costoro spetta un indennizzo forfettario (per tornare all’esempio del noleggio di videoregistratori, al titolare del diritto d’autore spetta una somma prestabilita sulle vendite dei videoregistratori ma non sul numero di copie dell’opera protetta che con quei videoregistratori verranno realizzate).

Rti si è opposta alla domanda, chiedendo, anzi, di vietare a Vcast tale attività, indicata come illecita perché non riconducibile all’eccezione di copia privata, che, secondo Rti, sussiste solo quando è il singolo stesso a realizzare la duplicazione.

Il Tribunale di Torino ha disposto provvisoriamente la sospensione dell’attività di Vcast e ha chiesto alla Corte, in via pregiudiziale, indicazioni interpretative in merito alla direttiva sul diritto d’autore.

Le conclusioni

L’avvocato generale Maciej Szpunar (Polonia) precisa nelle sue conclusioni preliminarmente la nozione di “copia privata”. Si tratta, secondo la direttiva, di tutte «le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali». Tale norma, per Szpunar, non esclude che la riproduzione dell’opera protetta sia effettuata con l’intervento di terzi su uno spazio di stoccaggio (“nuvola” o “cloud”) messo a disposizione da terzi e/o mediante l’intervento di terzi, remunerati o non remunerati, nel processo stesso di riproduzione (il fine non commerciale, infatti, riguarda solo l’utilizzo della copia riprodotta). L’unico requisito essenziale della copia privata è che una persona fisica (e non un gruppo indeterminato di persone o una società) assuma l’iniziativa della riproduzione, definendone l’oggetto e le modalità, allo scopo di utilizzare la copia così riprodotta per fini non commerciali. La duplicazione dei programmi effettuata da Vcast per conto dei clienti, quindi, ben può rientrare nella definizione di copia privata.

Infatti, quando la ritrasmissione, realizzata da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la trasmissione originaria, comporta una variazione del pubblico di destinazione e/o l’utilizzazione di un diverso mezzo tecnico, non può presumersi che il consenso dato dal titolare del diritto d’autore per la prima trasmissione valga anche per la ritrasmissione.

Nel caso specifico, la ritrasmissione in cui si concretizza il servizio offerto da Vcast implica entrambe le variazioni sopra indicate: il pubblico di Vcast non coincide necessariamente con il pubblico dell’emittente televisiva (anzi, il pubblico più interessato al servizio di Vcast è potenzialmente proprio quello che non riesce a captare le trasmissioni televisive) e il mezzo tecnico utilizzato per la diffusione da parte di Vcast (cloud computing) è diverso da quello usato per la diffusione dei programmi televisivi.

L’Avvocato generale ritiene, in definitiva, che il servizio fornito da Vcast senza l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore costituisca una violazione della direttiva nella misura in cui è Vcast a captare il segnale di radiodiffusione terrestre al solo fine di attuare la messa a disposizione (ritrasmissione) delle opere protette. Anche se detto servizio venisse in futuro limitato alla zona di copertura della diffusione dei programmi televisivi (cioè se venisse meno la variazione del pubblico dell’emittente televisiva), esso resterebbe comunque illegittimo, se privo delle necessarie autorizzazioni dei titolari dei diritti d’autore, perché costituirebbe comunque una ritrasmissione con mezzi tecnici diversi da quelli dell’originaria trasmissione.

L’avvocato generale rileva quindi che, in presenza di tale tipo di violazione, non è applicabile l’eccezione della copia privata perché, come detto, il presupposto di tale eccezione è che l’opera sia legittimamente messa a disposizione, mentre nel caso di Vcast non lo è: il che equivale a dire che la copia privata dell’opera realizzata con l’intervento di Vcast non rientra nell’eccezione ammessa dalla direttiva ma è illegittima.

In ogni caso, deve escludersi che la legislazione degli Stati membri possa prevedere, per un servizio come quello di Vcast, un’eccezione di copia privata in quanto:
– tale eccezione comporterebbe una limitazione del diritto d’autore non giustificata dalla tutela della vita privata degli utenti: nel caso di specie, infatti, l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore per ogni singola copia (recte ritrasmissione-copia) realizzata da Vcast per conto dei propri clienti sarebbe certamente possibile senza operare indebite ingerenze nella sfera privata di questi ultimi;
– tale eccezione sarebbe in contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera: infatti, il servizio offerto da Vcast costituisce, rispetto alla comune radiodiffusione, un servizio supplementare che le stesse emittenti televisive potrebbero un giorno decidere di offrire, ricavandone degli utili. Consentire a VCAST di offrire detto servizio senza l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore creerebbe una situazione di concorrenza sleale a danno delle emittenti televisive e sarebbe quindi in contrasto con questa normale forma di sfruttamento dell’opera protetta.

Marco Libelli, Il Sole 24 Ore

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