Annette apre il Festival di Cannes: Leos Carax tra eros e thanatos, mascolinità tossica e società dello spettacolo

Adam Driver e Marion Cotillard sono i protagonisti del film che ha aperto ufficialmente il 74° Festival di Cannes, Annette, un musical (ma anche una fiaba, ma anche un’opera lirica) che uscirà in Italia distribuito da I Wonder Pictures in collaborazione con Koch Media e Wise Pictures.

Annette prende il titolo dal nome di una bambina. La figlia dei due protagonisti.
Annette, ci dicono i titoli di coda, è dedicato a Nastya, che è la figlia di Leos Carax e che vediamo anche nelle prime scene del film, assieme al padre, quando lui inaugura il film con la frase “So May We Start?”, che poi è anche il titolo del primo brano della colonna sonora.
Tra i ringraziamenti di Carax, sempre nei titoli di cosa del film, ci sono poi i nomi di gente come Edgar Allan Poe, King Vidor, Béla Bartók e Béla Balázs.
Basterebbero queste due piccole annotazioni per permettere di capire temi, stile e riferimenti del film che ha inaugurato il 74° Festival di Cannes.

In Annette Adam Driver – bravissimo, va detto, in un ruolo che lo costringe a spaziare tra scene da teatro sperimentale e altre in cui è inquadrato esattamente nello stesso modo in cui veniva inquadrato da altri quando interpretava Kylo Ren – è Henry McHenry, un osannato stand up comedian dallo stile aggressivo e provocatorio, che si fa chiamare “Il gorilla di Dio” e va sul palco in accappatoio.
Mentre Marion Cotillard è Ann Defrasnoux, una soprano dalla voce celestiale che ama addentare mele come Biancaneve, idolatrata dal pubblico, che ogni sera va in scena, “muore” e poi “s’inchina” per raccogliere gli appalusi, come di Henry.
Non potrebbero essere più diversi, Henry e Ann, ma il loro amore è travolgente (“We Love Each Other so Much”, cantano i due), e con l’amore arriva anche un bambina: Annette, appunto.
E i figli, si sa, rischiano di rompere equilibri e di mettere in crisi anche la coppia più solida. Che poi Carax scelga di mettere in scena questa bambina (che dà il nome al suo film, dedicato dal regista a sua figlia) come un burattino, non è un caso.

Più di un musical tradizionalmente inteso, Annette è la traduzione pop-rock (dal punto di vista musicale) e oscura e barocca (da quello estetico) di un’opera lirica, con una sceneggiatura che è poco più che un libretto. O una fiaba.
Annette è una fiaba nera messa in scena come un’opera lirica messa in scena come un musical, e con un barocchisimo che è quello postmoderno di Carax ma anche quello classico di Vidor, per raccontare una storia ispirata a Barbablù (altra fiaba, ma anche un’opera lirica dei due Béla, Bartók e Balázs) così come ai racconti di Poe nei quali si parla di uomini che non riescono a sfuggire al richiamo dell’abisso, proprio come Henry, che distruggerà un matrimonio e forse anche il rapporto con una figlia.

Eros e Thanatos, mascolinità tossica, critica alla società dello spettacolo.
C’è un po’ di tutto dentro Annette. C’è, soprattutto, il palese e dichiarato mettersi in gioco di Carax, che non solo appare all’inizio, ma che sceglie di truccare Adam Driver nella scena finale in modo tale da rendere impossibile non notare una chiara somiglianza con lui: perfino il ribelle Carax pare deciso a fare ammenda della sua mascolinità tossica, quella incarnata da Henry (e da Barbablù, e da Kylo Ren), e di mettere in scena, esagerate dal suo cinema esagerato e visionario, le sue mancanze di uomo e di padre, mettendo alla berlina tanto l’invidia e l’aggressività quanto l’autocompatirsi (“Che strani questi uomini che vorrebbero noi li desiderassimo quando si fanno schifo da soli”, dice a un certo punto, più o meno, un coro femminile).

Carax non si autocompatisce, ma di certo è parecchio autoindulgente. Si aggrappa a Driver, alla musica degli Sparks (gli stessi cui Edgar Wright ha dedicato un recente documentario) e alla sua indubbia capacità di creare immagini potenti e di evocare la storia del cinema, ma insiste troppo, e troppo a lungo (per 2 ore e 20 minuti) nel raccontare una vicenda dal nucleo essenziale avvolta in mille strati di superfluo e di ridondante, affastellando situazioni e riferimenti, citazioni e rimandi, appesantendo la messa in scena e mettendo così anche la sordina alla forza emotiva del suo film.
Nota di merito per Simon Helberg, il Wolowitz di Big Bang Theory, nel ruolo dell’accompagnatore segretamente innamorato di Ann e al polo opposto dello spettro del maschile rispetto a Henry.

comingsoon.it

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