I cartellonisti, quando i poster si dipingevano. Storia dei (maltrattati) ‘Pittori di cinema’

In libreria, dopo la presentazione al Cinema Ritrovato di Bologna, l’imponente libro a cura di Maurizio Baroni che racconta cinquant’anni di film attraverso le locandine che una generazione di maestri ha creato. Un mestiere difficile e tormentato tra le esigenze delle major e i pregiudizi dei colleghi

“Quelli più fortunati lavoravano per le grandi major, la Titanus, la Metro Goldwyn Mayer, la Paramount, avevano uno stipendio che corrispondeva a tot bozzetti, tot manifesti. Altri, che lavoravano per case di distribuzione più piccole, non avevano neppure la certezza di essere pagati alla fine del lavoro, ma sia i primi che i secondi non avevano libertà nel loro lavoro. Dalle major arrivavano indicazioni precise: quanto grande doveva essere il volto del protagonista, i colori da usare, spesso se presentavano quattro o cinque proposte veniva scelta quella che a loro piaceva di meno. Per protesta qualche volta non li firmavano”.Il mestiere in questione è quello del cartellonista, termine dispregiativo in realtà che né loro, i maestri, né il loro cultore e paladino, Maurizio Baroni, amano. Meglio Pittori di cinema, come si intitola infatti il grande volume arrivato in questi giorni in libreria per Lazy Dog (direzione artistica Bunker) e presentato al Cinema Ritrovato di Bologna, che raccoglie 500 opere spesso inedite, manifesti, disegni e bozzetti provenienti dalla smisurata collezione di Baroni (più di 25.000 pezzi da qualche tempo donati alla Cineteca). Acerbo, Avelli, Ballester, Biffignandi, Brini, Campeggi, Capitani, Casaro, Cesselon, Ciriello, De Berardinis, De Seta, Ferrini, Fiorenzi, Fratini, Gasparri, Gèleng (Rinaldo e Giuliano), Iaia, Innocenti, Longi, Manno, Martinati, Nistri (Giuliano e Lorenzo), Olivetti, Putzu, Simbari e Symeoni, maestri che hanno dedicato tutta una vita all’arte della pittura per il cinema. Un’arte che Maurizio Baroni ha con passione in tanti anni portato alla luce, raccontato, conservato, curato. Fin da ragazzino a Castelfranco Emilia, dove viveva e vive ancora, si è innamorato di quei manifesti, i primi li staccò a undici anni dalle bacheche e se li portò a casa con la conseguenza che il padre, scopertolo, diede fuoco a tutto quello che aveva nascosto sotto il letto, poi cominciò a comprarli. “Ho fatto l’insegnante per un po’ di tempo – ci racconta oggi – poi ho comprato una libreria nel mio paese, mestiere che mi ha dato la libertà ogni tanto di chiudere e partire alla ricerca dei miei pittori. La maggior parte stava a Roma, ma non solo, sono stato a casa di molti di loro, tutti quelli che ho contattato mi hanno aperto le loro porte e mi hanno raccontato questo mestiere così bistrattato”. Alcuni, come Martinati, Ballester, Brini e Capitani, per ragioni anagrafiche non ha potuto incontrarli direttamente ma gli altri si sono confidati, sfogati. “Il primo incontro l’ho avuto con Enrico De Seta, allora novantenne, ricordo ancora la rabbia di Symeoni, una rabbia che si è portato fino alla morte”.

Chiara Ugolini, repubblica.it

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