VALERIA SOLARINO: “CHE INVIDIA PER GLI SPORTIVI. GLI ATTORI NON SANNO PERDERE”

Da lunedì su Rai 1 nella serie del Commissario Maltese con Kim Rossi Stuart. “Sono una donna che cerca di uscire dalla famiglia mafiosa e coltiva orchidee”

Valeria Solarino è rimasta timida e riflessiva come quando, ragazza, nella sua casa di Torino, s’interrogava sul futuro, complice la scelta di studiare Filosofia all’università. Poi l’amore per il teatro, la scuola dello Stabile che travolse tutto, i quattro esami mancanti, il lavoro al bar e quello come guardarobiera in discoteca, i suoi impegni da giocatrice professionista di pallacanestro.
Da lunedì è in tv su Rai 1 in «Maltese – Il romanzo del Commissario» con Kim Rossi Stuart.
«Incontrare Kim dopo Vallanzasca è stato bellissimo, con lui la scena esce sempre, basta seguirlo. La donna che interpreto viene da una famiglia mafiosa che l’ha schiacciata. Non è un’eroina, però cerca di uscirne e nel tentativo di salvarsi si distrugge. Coltiva orchidee e come quel fiore sembra forte ma dentro è fragile».
E Valeria che fiore sarebbe?
«Facendo questo lavoro si capiscono tante cose dell’animo umano e i tanti personaggi aiutano a dare di te un’immagine che in fondo non ti appartiene. È impossibile dire chi si è quando non incorrono scelte drammatiche, definirsi nella normalità può contare poco».
Lei è la compagna del regista Giovanni Veronesi ma ha detto che per sposarlo aspetta la vecchiaia. Perché?
«Una provocazione per suggerire che quando si dice: questo è l’uomo della mia vita, appunto, ci dovresti passare una vita per capirlo. Un tempo il matrimonio era una tappa, per andare via da casa, farsi una famiglia propria, diventare grandi. Io non sento la necessità di quel passaggio».
Riflessiva anche quando affronta un ruolo?
«Mi piace studiare il personaggio per poi abbandonarmi. Esiste una verità che passa attraverso caratteristiche precise. L’ho scoperto a teatro. Una volta ho recitato con la febbre alta e ho vissuto il ruolo in maniera diversa da prima, con altre verità».
Parla di «Una giornata particolare» trasposizione teatrale del film di Scola, quello con un’indimenticabile Sophia Loren?
«Sì, una donna che io ho volutamente reso in modo diverso, con la cadenza siciliana, più allegra, infantile negli stupori. Avrei tanto voluto invitare la Loren, stavo per scriverle, poi mi sono imbarazzata e non l’ho fatto. Mi sarebbe piaciuto».
E che ne dice degli altri personaggi che vorrebbe interpretare? Nikita e Giovanna D’Arco, così diverse tra loro?
«La prima mi piace per la sua energia sportiva che mi appartiene e l’altra è un’eroina che vorrei portare in tv, come Anita Garibaldi».
E quando ha conosciuto Veronesi?
«Sul set di Che ne sarà di noi, sull’isola greca di Santorini, un’esperienza meravigliosa, quell’isola tutta per noi. Eravamo giovani e allegri, io, Elio Germano, Silvio Muccino, Myriam Catania».
Complicato lavorare con il proprio uomo?
«Sì, il rapporto personale è paritetico, quello professionale rispetta dei ruoli, esiste una gerarchia e io sul set sono quella del passo indietro».
E invece che succede quando c’è di mezzo il tennis?
«Il tennis è un grandissimo amore, giro il mondo per seguire i tornei. Tra poco inizieranno gli Internazionali di Roma, sono felicissima. Tutto è cominciato leggendo la biografia di André Agassi».
Allora un tennis più guardato che praticato.
«Il mio primo pensiero è stato che il mio tennis potesse avvicinarsi a quello dei grandi. Poi sono rinsavita e ho capito che erano due sport diversi».
Potendo, chi vorrebbe essere?
«Ho sempre seguito Flavia Pennetta e – con dolore – credo di aver anche capito il perché del suo ritiro. Aveva bisogno di una famiglia e tutto il resto».
Perciò lei è una combattente come tutte le sportive?
«Invece sono un po’ pigra, per questo mi affascina lo sport, ricominciare da capo ogni volta, la disciplina, andare avanti a ogni costo. Nello spettacolo ci si perde, si è abbandonati a se stessi, non c’è squadra, si vive nell’ambiguità, senza regole. Lì tutto è chiaro, c’è chi vince e chi perde, da noi no. Ci sono delusioni molto meno chiare, devi saper gestire l’ansia di quando non lavori. Un solo giorno senza contratto e ti pare che non ti vogliano mai più. Quando scelgono un’altra, pensi di non andare bene come persona perché presenti te stessa, non uno scritto o un tuo progetto».
E adesso?
«Sto imparando a riconoscere la felicità, sono positiva. Mi piacciono le persone dirette ma la mia timidezza mi porta a non intervenire nel tempo giusto, ho un rapporto problematico con il momento. Però sono ironica ed emotiva».

La Stampa

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