Doc – Nelle tue mani 2, il più sexy? È lui

Intervista semiseria ai medici della tv più amati del momento. Un vortice di battute, poi però a Gianmarco Saurino, Pierpaolo Spollon e Alberto Malanchino scappa lo spoiler…

«Meno scemi, e più vicini». Il fotografo guarda i primi scatti nello schermo del computer. L’indicazione per i tre protagonisti dello shooting è chiara, e anche perentoria. È tarda sera negli studi a pochi metri dai Teatri Lux, dove si stanno girando le ultime sequenze della seconda stagione di Doc – Nelle tue maniGianmarco SaurinoPierpaolo Spollon e Alberto Malanchino sono stanchi, come atleti che, dopo una maratona di sette mesi di lavorazione, iniziano a scorgere il traguardo della messa in onda. Eppure, forse per vincere la timidezza piuttosto mal distribuita tra di loro, davanti all’obiettivo non si risparmiano. Passi di danza da boy band improvvisata, ammiccamenti di inconfondibile scuola Zoolander, labbra che si sfiorano e sguardi persi l’uno nell’altro, a evocare cowboy cinematografici nei pascoli del Wyoming.
Alla fine, dopo qualche scatto e molti «bravi, bravi, bravi» urlati dal fotografo con crescente intensità, il risultato è quello che trovate in queste pagine.

Punto a un’intervista sincera. Comincio io: ho guardato solo una puntata diDoc, e l’ho guardata oggi pomeriggio. Fingiamo che non abbia visto nemmeno quella: come mi raccontereste la serie e il suo clamoroso successo?
Gianmarco Saurino: «È un medical drama, si inserisce nel filone delle migliori serie americane, da Grey’s Anatomy a The Good Doctor. Partendo, però – questa è la sua unicità – da una storia vera, quella del primario Pierdante Piccioni, interpretato da Luca Argentero, che realmente ha perso dodici anni di memoria».


Basta questo a motivarne il trionfo? In Italia di serie tv medical ne abbiamo viste tante, anche in passato: da Amico mio a La dottoressa Giò.
G.S.: «Pensavo che parlassimo di quelle fatte bene…».
Pierpaolo Spollon: «Oookay! Ma vogliamo anche dire che c’è un cast di ragazzi giovani e semisconosciuti molto valido? Ci è stata data la possibilità di metterci alla prova, abbiamo lasciato il sangue su questi teatri e abbiamo fatto un buon lavoro, caspita. La gente non storce il naso pensando: “Bellino quello, ma chissà chi è suo zio”».

Semisconosciuti, forse una volta. Ora avrete difficoltà a uscire di casa.
Alberto Malanchino: «Oddio, sempre bardati con le mascherine… Io sono diventato noto giusto al reparto ortofrutta del mio supermercato. Però è vero, sui social c’è stato un bel cambiamento. Mi scrivono in molti. Da quelli che mi raccontano di avere perso un proprio caro per una malattia, ai ragazzi di seconda generazione che mi ringraziano per il tipo di personaggio incarnato da Gabriel, uno dei primi tentativi in Italia di mostrare una persona di colore al di fuori dei soliti stereotipi».

Sta cambiando il modo di raccontare la comunità black?
A.M.: «A fatica, lentamente. A scuola di teatro la prima cosa che mi hanno detto è stata: “Il tuo problema non sarà lavorare, sarà la qualità del lavoro”. La questione non è raccontare un certo tipo di storie, è concentrarsi sistematicamente solo su quelle. Prima si parlava di integrazione, ora di inclusività. È un bel passo avanti». 

Non vi ha mai sfiorato il dubbio che gli spettatori, in questo periodo, non ne potessero più di medici in tv?
P.S.: «Alcuni hanno pensato il contrario, cioè che Doc abbia avuto successo proprio perché è uscito durante il lockdown, quando la gente stava a casa e non faceva che parlare di medici. Le reazioni possibili sono due: si fa fatica a guardare il tg, come è successo a me. Oppure, per capire un evento che non riesci a mettere a fuoco fino in fondo, senti il bisogno di confrontartici il più profondamente possibile. Come in una sorta di auto-psicoanalisi».

La nuova stagione affronta il post pandemia, come se fosse stato sconfitto il Covid e, soprattutto, i suoi strascichi sulla mente dei personaggi. A voi cosa ha lasciato?
G.S.: «Il lockdown mi ha insegnato a rallentare. Questa foga di non potersi mai fermare fa parte della vita di tutti. Io ce l’ho anche come imprinting familiare: devi fare, e più fai più sei occupato, e più sei occupato più sei stanco. E più sei stanco più hai valore di fronte agli altri. Ho capito che, ogni tanto, me la posso pure godere. Oggi pomeriggio ho fatto un sonnellino, e non mi sono sentito in colpa».
A.M.: «Io ho sofferto la solitudine, ma mi è anche servita per riconnettermi con i miei pensieri, le mie sensibilità, le mie fragilità. Non sempre ci si concede questa chance».
P.S.: «Devo ancora metabolizzare, ma mi angoscia pensare a quello che potrebbe succedere tra dieci anni. Pensi alla guerra in Vietnam: secondo uno studio, i soldati che al ritorno a casa perdevano la testa erano proprio quelli che avevano superato la guerra incolumi, coloro per i quali il nemico era restata un’entità invisibile, intangibile. Lo stesso potrebbe accadere con il Covid».

Vi diverte farvi vestire, pettinare, fotografare?
G.S.: «Soprattutto vestire. Sono un inetto: vorrei avere qualcuno che mi dica ogni giorno che cosa indossare».
P.S.: «Io non la vivo bene. Ho un enorme imbarazzo nel farmi fotografare. Allo stesso tempo, mi piace molto la moda e quindi rompo anche un po’ le palle. Non mi va bene proprio tutto…».
A.M.: «Dopo anni di camici e scrub, avercene di shooting!».

La domanda, in realtà, voleva essere: oggi agli uomini è concessa un po’ di vanità in più?
P.S.: «Uhhh! Parlo io, che sono il più vanitoso di tutti. Ma certo! Ma stiamo ancora parlando di queste differenze? Adoro lo sdoganamento di qualsiasi tipo di abbigliamento per chiunque voglia indossarlo, al di là dei generi».
A.M.: «La vanità non ha sesso. Il pensiero che ha castrato l’uomo facendogli credere di non potersi occupare di questa parte di se stesso, è tossico».

Vi sentite belli?
Silenzio...
A.M.: «Mi ci fanno sentire, adesso. Per anni ho avuto il complesso del brutto anatroccolo».
G.S.: «Io ero un cesso fino a tre anni fa».
P.S.: «Te lo dico sempre: quando ti ho conosciuto in Accademia non eri mica così bello (rivolto a Saurino, ndr). Sa qual è la cosa onesta? Che loro due sono stupendi. Io no. So di non essere brutto, ma quella bellezza lì non ce l’ho. A Gianmarco dicono che è un quasi Argentero».

Scusi, «quasi Argentero» le pare un complimento?
P.S.: «Con quel sorriso là, io la prima volta che l’ho visto sono quasi rimasto incinto».
G.S.: «Nella mia scala di uomini belli, Luca è sicuramente in cima: entra in una stanza e si fermano gli orologi».

Saurino, lei sa di essere un sex symbol, vero?
G.S.: «È strano, ho sempre cercato di dimostrare di essere bravo. Proprio adesso sto girando un film per il quale sono ingrassato dodici chili, ho il barbone. E comunque, mi creda, vado alla Coop e, bello o non bello, il conto alla cassa quello è».
Stando ai social, voi due sembrate molto amici. Anche Alberto fa parte del gruppo?
G.S.: «No, lui no».
P.S.: «Quando ci hanno detto che c’era anche lui all’intervista, ci siamo un po’ contrariati. Per le foto abbiamo chiesto che ci fossimo noi, e lui a due metri di distanza».
A.M.: «Mi hanno bullizzato».
P.S.: «In realtà, il rapporto tra tutti noi è stato davvero molto bello. Sul set, la convivenza coatta genera questi piccoli nuclei familiari che ogni volta durano qualche mese. A volte si sfaldano, ma spesso resistono nel tempo». 

Ci sono anche famiglie che si detestano.
P.S.: «Non è che ci vogliamo tutti bene sul set, quella è una bugia. Può anche succedere di starsi un po’ sul cazzo. Io, per esempio, provo un’antipatia enorme per una persona con la quale ho persino difficoltà a recitare».

Una donna?
P.S.: «L’ha detto lei».

Ho l’impressione che non sia facilissimo starle appresso.
P.S.: «Mi è stato detto, anche dalle donne. Sono impegnativo: uno, per starmi al passo, deve essere un po’ sveglio».
È difficile trovare persone che le stiano al passo?
P.S.: «Una domanda trabocchetto? No, non credo. Sono esuberante, mi piace ridere, scherzare, essere leggero, mettere le persone a proprio agio. Se esagero, mi dispiace».

Alberto, lei tende a parlare meno dei suoi colleghi.
A.M.: «Perché ragiono di più sulle risposte?».

Pensavo che fosse timidezza.
A.M.: «Da piccolo ero molto timido. Resta una compagna di viaggio, ma da apparente debolezza si è trasformata in punto di forza, quando si tratta di posare gli occhi su certe questioni del mondo. Impari a riflettere, prima di agire».

Doc è una serie corale. Mai un’invidia per chi aveva una battuta in più, un’inquadratura più lunga?
G.S.: «Dopo sette mesi di lavoro, siamo arrivati al contrario: “Tagliami pure, che così me ne vado a casa prima”».
A.M.: vÈ interesse comune fare un buon lavoro. Se in un frangente funziona meglio il tuo personaggio, automaticamente funziona meglio l’intera serie, funzioniamo meglio tutti».
P.S.: «Pensi se adesso me ne uscissi dicendo: “No, a me state sul cazzo perché avete avuto la scena dove piangete e io no”? Mi scusi, non riesco a non scherzare».

La si ama lo stesso.
P.S.: «Lo dica anche agli altri due, se no sono invidiosi».

«Siamo qui, sulla Terra, per prenderci cura uno dell’altro. Stiamo al mondo per questi piccoli momenti. Per che altro, se no?» Pierpaolo Spollon

Nella serie ci sono anche alcune storie d’amore belle tormentate. A voi come va da questo punto di vista?
G.S.: «Una bomba».

Il suo personaggio vive un amore non corrisposto.
G.S.: «Mai successo a me. Forse perché ho così tanto amor proprio che non mi sono mai esposto senza avere una ragionevole certezza che dall’altra parte ci fosse interesse. Però, sono stato lasciato molte volte».

Sembra in imbarazzo.
G.S.: «Sì. Sto vivendo un momento di grande serenità».
P.S.: «Io faccio copia e incolla: se Gianmarco dice una bomba, allora voglio dire una bomba pure io».
A.M.: «Sono ben fidanzato da un anno e mezzo, una relazione solida. C’è un’ottima intesa: il mio gatto miagola e io capisco tutto. Solo che non si fa una ragione delle mie sveglie alle 4 del mattino».
G.S.: «Penserà che fai il fornaio».

Gianmarco, ricordiamo tutti il suo fornaio inMaschile singolare. Non vorrei farvi litigare, ma sapete che Saurino è l’unico dei tre che ha una «voce» su Wikipedia?
P.S.: «È una cosa che mi sta tremendamente sui maroni».
A.M.: «Potrei scriverla io, la tua. Ma ti rovinerei».
P.S.: «Andiamo d’amore e d’accordo, ma su certe questioni io e Alberto abbiamo modi di pensare molto diversi. Ci sono stati momenti nei quali ci siamo dovuti chiarire».

Attriti, incomprensioni?
A.M.: «Anche nella discussione, Pierpaolo è una persona estremamente limpida. Ci siamo detti cose che hanno fatto crescere entrambi».

Evviva: quindi sì, avete litigato.
P.S.: «Niente scontri. Sono schiavo dell’ironia, purtroppo. Credo che la si possa usare in qualsiasi situazione. Stimo molto Alberto: su argomenti che lo toccano da vicino, mi ha fatto capire che in certi ambiti la leggerezza, per lui, non è contemplabile. Mi ha fatto mettere in discussione».

Il set li reclama. Ma tra uno scatto e l’altro, tra una sistematina ai capelli e l’altra, tra una sigaretta e l’altra in accappatoio – «Ah, ma come si sta bene qui alle terme» – nel freddo del cortile di una notte di dicembre appena fuori Roma, intercetto, uno alla volta, i tre attori. Sottovoce, senza farmi notare dagli altri, ci provo. 

Ha saputo della gara di spoiler? Chi dà il più gustoso sulla nuova stagione, vince la copertina diVanity Fair.
A.M.: «Maledetto, questo è un patto col diavolo. Mettiamola così: in linguaggio musicale, rispetto al Covid Gabriel sarà un interessante controtempo. Criptico, eh?».
G.M.: «Eh, poi chi lavora più? Prenderò la copertina di Vanity per altri meriti. Provi con Spollon, lui ci casca».
P.S.: «Ma lo sa che sono “The Champion”? Mi chiamano “Spoileron”. Vediamo un po’: non posso mica anticiparle che perdo anche l’altra gamba…».

VanityFair.it

Torna in alto