Il ritorno di Ciro Ippolito: “Arrapaho è una fede”

Come produttore, sceneggiatore e regista il suo nome è legato alle cine-sceneggiate con Mario Merola e a film e serie tv di respiro internazionale come Vaniglia e cioccolato con la Cucinotta, La romana di Patroni Griffi e Gli indifferenti di Bolognini. Ma sono due i titoli che hanno fatto entrare – a gamba tesa – Ciro Ippolito nella storia del cinema. Il primo è il clamoroso Alien 2, finto sequel non autorizzato che ha mandato in tilt lo show business hollywoodiano. Il secondo è Arrapaho, film anarchico e surreale su una tribù di indiani napoletani e cucito addosso agli Squallor, oracoli della musica demenziale. Ricordi corsari che Ippolito, napoletano classe ’57, chioma bianchissima e bel sorriso da attore, (ha recitato per Rossellini e Vasile), ci ha raccontato nella sua casa a due passi da Trinità de’ Monti, costellata di foto e dipinti.

Nel dizionario dei film di Mereghetti Arrapaho è bollato come peggior film di tutti i tempi. Condivide?
“No ma quella stroncatura è stata la mia fortuna perché ha reso il film immortale. È un’operazione dadaista, un film volutamente brutto con attori cani, improvvisati e improbabili. Tutte le attrici scartate per interpretare Scella Pezzata (la bella squaw del film, ndr) si offesero a morte quando scelsi Tinì Cansino, con la sua inflessione napoletana e nessuna esperienza. In ogni caso abbiamo anticipato il linguaggio di internet e delle web serie. Ora mi scrivono i critici d’arte: “Meglio di Duchamp…”. Si direbbe un film virale, ma io lo voglio dire un po’ alla Di Maio, un po’ alla Salvini, un po’ alla Conte: Arrapaho è una fede, come Padre Pio!”.

Come nacque l’idea?
“Cercavo di dare una svolta dopo l’overdose di film con Merola. Una notte sentì la canzone Arrapaho a tutto volume da un’auto in corsa e mi venne l’idea, così contattai gli Squallor. Scrivemmo il film a Milano in poche notti, dopo una cena e un bel po’ di whisky. Ma poi improvvisammo quasi tutto, sul set e in sala di doppiaggio”.

Prima il lungo sodalizio con Mario Merola.
“Avevo scritto un film, “L’ultimo Guappo”, e cercavo di proporlo a tutti, invano. Una volta feci la posta a Fernando Di Leo per mostrargli il soggetto, lui mi vide con barba ed eskimo e cominciò a correre: era ossessionato dai terroristi. Lo inseguì fino a dentro un portone: “Dottore, le volevo proporre un film…”. Ecco, mi presi il vaffa più tremendo della mia vita. Dopo qualche tempo andai da Merola, e fu un successo. Anche grazie al mio socio storico Angiolo Stella, che con gli incassi dei film napoletani distribuiva i titoli d’essai di Cassavetes, Herzog e Fassbinder. All’inizio però i film di Merola al nord non li volevano. Risolvemmo facendoli uscire sotto Natale nei cinema che programmavano commedie sexy”.

Con Alien 2 sulla Terra (1980) aveva già fatto impazzire il colosso Fox.
“Che storia. Ci ho scritto un film: “Un napoletano a Hollywood”, ho già le musiche di Edoardo Bennato, spero di farlo presto. Allora, tutto inizia la sera della prima di Alien, al cinema Adriano. Esco dalla sala e mi trovo davanti al manifesto di Zombie 2 di Lucio Fulci. Vado da Stella e gli dico: facciamo Alien 2. Così compriamo una pagina di Variety solo con il titolo e un numero di telex. Dopo un paio di giorni arrivano migliaia di richieste da tutto il mondo di operatori che pensavano di poter prendere un film della Fox. I distributori Vinzi e Pane ci diedero sull’unghia 400 milioni di lire”.

È vera la leggenda che li avete spesi in Costa Azzurra con due ragazze?
“Purtroppo no! La verità è che Stella si era indebitato con la Banda della Magliana. Qualche film era andato male e gli si erano accumulate cambiali che non riusciva più a farsi “scontare”, così alla fine si era rivolto alla criminalità. Il giorno che arrivarono i soldi eravamo nel suo ufficio. Entrarono tre persone e senza dire una parola si presero il pacco e se ne andarono. Ovviamente li aveva avvertiti Stella, che mi raccontò tutto in lacrime. Io volevo denunciare, ma lui insisteva perché altrimenti avremmo fatto una finaccia. “Inventiamoci qualcosa!”, mi disse. Ma che mi potevo inventare, c’era un film da girare e non avevamo una lira. Poi una domenica in tv c’era un documentario sulle grotte di Frasassi, e qui venne il lampo di genio, che spesso è figlio della disperazione… Tornai da Vinzi e Pane con le foto delle grotte: “ho speso tutti i soldi per queste scenografie, ci serve altro budget”. Ci cascarono e ci diedero altri cento milioni, con cui abbiamo fatto tutto il film, ambientato sotto terra invece che nello spazio, con un mostro alieno che attacca un gruppo di speleologi. Portammo a casa un film dignitoso, anche grazie ai consigli di Mario Bava (maestro dell’horror made in Italy, ndr)”.

Racconti.
“Il problema era fare il mostro. Bava mi disse: non ti preoccupare, fallo con la trippa. Un po’ di sangue, le luci giuste… Musica per le mie orecchie! Con l’attrezzista Bombardone ci chiudemmo in uno scantinato di piazza Mancini con 150mila lire di frattaglie e ci inventammo un alieno low cost… I condomini a un certo punto chiamarono la polizia perché avevano visto il sangue finto sulle scale. Il risultato fu ottimo: la trippa intorno alla cinepresa fa immaginare il mostro in soggettiva. Molto è dovuto al rantolo, che in realtà è il russare di Tinebra, il mio operatore.

In ogni caso, a Hollywood non la presero bene. O no?
“La Fox ci diffidò subito, poi chiese dieci milioni di dollari. Dalla parte nostra avevamo tre assi nella manica. Innanzitutto avevamo messo una clausola nel contratto con i distributori secondo la quale ogni possibile causa legale sarebbe stata a carico loro. Io poi avevo scoperto che Alien 2 non era stato depositato. Inoltre un avvocato inglese aveva trovato un romanzo antico intitolato proprio Alien, quindi nessuno poteva dirsi titolare di quella parola. Alla fine il fim, girato tra San Diego, Cinecittà e le grotte di Castellana – che abbiamo pure un po’ rovinato… – è uscito in tutto il mondo. Con buona pace della Fox che ha perso tutte le cause. E quando hanno fatto il sequel l’hanno dovuto chiamare Aliens! Ma lo sa qual è l’aspetto più divertente della faccenda?”.

Quale?
“Il mio Alien 2, che aveva copiato solo il nome, è stato plagiato a sua volta da un film di Hollywood: The Descent. È uguale! Pure la macchina degli speleologi, una Wagoneer, è la stessa! Volevo fare causa, ma gli altri soci non hanno voluto. Me lo fece notare un fan di Alien 2, a un festival: “Maestro, lo sa che ho visto il remake americano del suo film?”.

Davide Di Santo, Il Tempo

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