Joe Bastianich: “Vi racconto la New York sparita tra canzoni e aneddoti”

L’anima del Joe Bastianich musicista, quella a tinte rock e blues che risuona nel suo primo album «Aka Joe», è intimamente legata all’anima di New York. È nella Grande Mela degli anni 70/80 «una città ingestibile, pericolosa, senza legge», ma anche vibrante di creatività, che The Restaurant Man è cresciuto e ha forgiato la sua passione per il rock’n’roll, insieme ai suoi sogni di aspirante musicista.

Bastianich narrerà le sue «New York Stories» durante due show speciali così intitolati, il 24 gennaio al Largo Venue di Roma e il 25 all’Ecoteatro di Milano. Due spettacoli fra aneddoti personali e canzoni, preludio di un tour più ampio che proseguirà durante l’estate e in autunno, affiancando le sue mille attività imprenditoriali in ristoranti e aziende vinicole, oltre che quelle televisive. «Da piccolo vivevo nel Queens e andavo a scuola nel Bronx — spiega Bastianich, 51 anni —, ho assistito alla nascita dell’hip hop e del punk rock, generi che hanno influenzato tutta la musica di oggi». Fra i poster delle rockstar appesi in camera e il suo ricordo di tredicenne del giorno in cui John Lennon fu assassinato, è stato testimone di un periodo irripetibile: «Il Bronx era estremo e violento, come nei film. Prendere la metropolitana era pericoloso. Ma io avevo la fortuna di tornare nella mia famiglia, dalla mia nonna italiana».

Figlio di immigrati italiani, esuli istriani, proprio grazie alla musica Bastianich si è sentito americano: «Da piccolo volevo essere come gli altri e la musica è stata la mia salvezza. Andavo al Cbgb fino alle tre del mattino, conoscevo i Ramones che vivevano nel mio quartiere e potevo sentirli suonare nelle scuole per 50 centesimi. D’estate odiavo andare in vacanza in Italia». L’amore per il cibo e il vino, oltre che quello ritrovato per l’Italia, sono arrivati dopo. Ma con gli anni è cambiata anche New York: «Oggi è una Disneyland per i ricchi, Manhattan è senza anima e la città non ha più la stessa grinta e creatività». Il suo passato oltreoceano è la lente con cui guarda con preoccupazione ai mutamenti politici e agli atteggiamenti di chiusura verso i migranti: «Gli Stati Uniti mi hanno dato una grande opportunità. Ho vissuto il sogno americano — riflette —. Oggi c’è un grosso problema di tendenza globale verso destra. E credo che non si possa pensare solo ai fatti propri».

Per l’ex giudice di «MasterChef», presente e futuro sono affollati di nuove avventure: la televisione continua a essere «super importante», racconta, fra «Italia’s got talent» e «Family food fight» di cui sarà giudice nel 2020, sognando anche «un talk show serale». Mille ruoli per uno showman che si dice «fortunato di avere questa carriera», nonostante in passato abbia raccontato le difficoltà di conciliare così tanti impegni con la famiglia: «Sono scelte in cui bisogna cercare un equilibrio. Ma anche se è stato difficile, oggi che i miei figli sono grandi capiscono di più, e cerco di ispirarli». Essere un personaggio noto «ha raramente dei lati negativi», conclude.

Anche se il ruolo si scontra con la voglia di mantenere le proprie sfere private, come qualche mese fa, quando il web l’ha accusato di indifferenza verso la morte di Nadia Toffa per non aver espresso in rete il suo cordoglio: «Ho trovato incredibilmente non giusto che si dovesse commentare solo per l’audience e non ho sentito di farlo. Io e Nadia eravamo molto amici e avevamo un rapporto molto privato che resterà così».

Barbara Visentin, Corriere.it

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