UN TRISTE “GAZEBO” TRA CONFORMISMO E BATTUTE SCONTATE

TV: RAI; PARTE 'GAZEBO', <a href=cialis CONDUCE ZORO” width=”510″ height=”255″ />

(Vittorio Feltri, Il giornale) C’è una trasmissione su Rai 3 che vale la pena di vedere una volta senza correre il rischio di vederla una seconda. C’è una trasmissione su Rai 3 che vale la pena di vedere una volta senza correre il rischio di vederla una seconda.
Il titolo è Gazebo, che evoca raccolte di firme per referendum e roba simile. Niente di strano. Ciò che è popolare a noi non disturba, forse perché non siamo di sinistra. Il conduttore è Diego Bianchi, nome d’arte (si fa per dire): Zoro, nientemeno. Credo che sia romano de Roma, dato che, presentando il suo primo capolavoro stagionale, domenica 27 settembre ha esordito con questa parola: «puntada». Che sta per puntata. Anche qui, niente di strano. Ciascuno parla come mangia, lui mangia i «bucadini».

Il programma si avvale del supporto di un batterista, un chitarrista e altri musicanti; c’è pure il pubblico: una ventina di facce da studenti fuori corso, barbe a strafottere. Solo un volto ci è abbastanza familiare: quello di Marco Damilano, vicedirettore di fresca nomina dell’ Espresso. Dato che è un bravo giornalista, ci domandiamo che ruolo abbia al Gazebo. Transeat. Si comincia con un pistolotto di Zoro che fa lo spiritoso. Mostra delle foto di vari personaggi e li prende in giro. Un esempio, Roberto Maroni accanto al Gabibbo. Commento che dovrebbe essere esilarante: di questi due il grande politico è il Gabibbo. Però, che battuta. Compare un’istantanea di Daniela Santanchè. Alla signora si attribuisce la seguente invocazione: marò liberi. Non è nuova, ma si presta a un’altra battutona di Diego Bianchi: piuttosto che incontrare la Santanchè, i marò rimangono in India tutta la vita. Quando si dice la satira raffinata della sinistra.

L’arguto conduttore termina la carrellata esibendo in effigie Giorgia Meloni, rassicurando gli utenti Rai che la signora «non è lesbica». Notizia della quale sentivamo un urgente bisogno. Poi gli intellettuali di Gazebo informano che è morto Pietro Ingrao a cento anni suonati. Non ci viene il dubbio che egli sia perito soffocato dalla balia; apprendiamo con sgomento che è stato un poeta di alto livello e un comunista inflessibile, tant’è che disse ai compagni in procinto di chiudere la bottega del Pci e di aprire quella del Pds: «Non mi avete convinto». Cosicché Ingrao rimase fedele all’utopia della dittatura del proletariato sino all’ultimo respiro. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Aforisma abusato, però rende l’idea di quale tempra fosse il de cuius .

Esaurita questa parte, va in onda un reportage realizzato da due signori che in auto si avventurano in Ungheria, attraversando mezza Italia (partenza dalla Capitale), la Slovenia, la Croazia e la Serbia. Le telecamere registrano le freddure dei due reporter in viaggio tra qualche difficoltà, quindi riprendono le scene dei migranti (o profughi, scelgano i lettori) alle prese con gli ostacoli che impediscono loro di recarsi in Paesi teoricamente ospitali, non funestati dalla guerra e dalla miseria.

Immagini toccanti che sarebbero anche interessanti se fossero inedite, mentre le abbiamo viste scorrere sul video per giorni e giorni e ci siamo assuefatti ad esse. Indubbiamente, la documentazione audiovisiva del doloroso fenomeno della migrazione in massa ferisce il cuore di chiunque abbia un minimo di sensibilità. Centinaia, migliaia di persone che marciano appesantite da fagotti, seguendo i binari del treno, per sfuggire ai disastri della loro patria, commuovono. Stupisce inoltre la quantità dei bambini, con gli occhi pieni di paura, che camminano esausti accanto ai genitori. Ma trattasi di repliche di filmati logori.

Una curiosità tetra. Come mai fra i marciatori non ci sono vecchi e neppure anziani? Sono stati lasciati dai figli sotto le bombe e in balia dell’Isis. A quelli di Gazebo non frega nulla. E Damilano? Non ha fiatato. Ha fatto di tutto per rendersi inutile. Meglio così.

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