Manila Nazzaro, dai social la frustrazione suprema di chi vivacchia

(di Tiziano Rapanà) Dovrei indossare il mantello della iattanza, così per positura intellettuale asfittica. Per dirmi: “Sto sul monte e non vi vedo, voi siete una cosa ed io un’altra”. Eppure il mondo si ripropone ogni volta, da mane a sera, con la stessa flemma. E non è neppure un bravo tanguero ma un banale tanghero. Ma bisogna scendere dal monte per capire che esistono gli uomini e le donne che vivono, amano, patiscono. E non è bello leggere quello che sta subendo Manila Nazzaro per le sue scelte personali. Dai social, frotte di commentatori furiosi frustano e fustigano (senza arte e creatività). Ci fosse almeno un segno che suoni parola e questa non è nemmeno questione di semantica ma di buona creanza. Congegnare un castello di offese per una persona che non conoscete è il massimo della perdita di tempo. E allora ascoltate l’altro Nazzaro, Gianni – nessun grado di parentela con Manila – e impiegate così il tempo: a riscoprire il bello della musica passata. Vi piacciono i social? Frequentateli, il piacere è tutto vostro – mi vedete solo su Linkedin, probabilmente sparirò da lì – e tenetevelo pure questo diletto così irrito. Dovreste rivoltare l’esistente, arruscandovi al sole della goliardia. Ironia come antidoto alle gabbie della vita che non si vive. Ribellarsi al sistema vuol dire dissentire dai linguaggi dominanti in quel sistema e quindi risemantizzare l’intero vocabolario, se serve. Ma a voi il sistema piace, soffrite della sindrome di Stoccolma. Poi, come il peggiore degli sfoghi, rompete l’anima ad una donna che non vi ha fatto nulla. Manila Nazzaro non è vittima delle vostre contumelie, siete voi che sostate in spazi che irrigidiscono la vostra libertà.

tiziano.rp@gmail.com

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