Il filo invisibile è un film sull’omogenitorialità raccontata senza nervosismi

Il film Netflix con Filippo Timi, Francesco Scianna e Francesco Gheghi mette in scena una famiglia non convenzionale (e per questo convenzionalissima)

Il nuovo film italiano di Netflix, Il filo invisibile, disponibile dal 4 marzo, si potrebbe sintetizzare tutto in una frase: “Finalmente hai scoperto che anche la tua famiglia può essere una merda. Come la mia. Come quella di tutti“. La dice un amico a Leone, il sedicenne protagonista interpretato dal giovanissimo Francesco Gheghi, in un momento di rivelazione fulminea. È un po’ la rivisitazione dell’incipit tolstoiano delle famiglie infelici che sono infeliciti tutte a loro modo, ma sopratutto è una grande verità che questo film cerca di veicolare con grande convinzione in un mix tra realismo sentimentale e commedia degli equivoci.

La famiglia di Leone è uguale a tutte le altre perché in realtà è anche non convenzionale, nel senso che il ragazzo, nato grazie alla gestazione per altri, ha due papà, l’architetto Paolo interpretato da Filippo Timi e il gestore di ristorante Simone che ha invece il volto di Francesco Scianna. In un’apertura che potrebbe risultare quasi didascalica, ma comunque funzionale alla limpidezza del racconto, vengono ripercorse le tappe, a tutt’oggi spesso confuse, dei diritti delle coppie omogenitoriali in Italia: si spiegano concetti come unioni civili, gestazione per altri appunto, riconoscimento del genitore, trascrizione in Comune ecc. Chi segue le vicende Lgbtq+ sa bene che la genitorialità delle coppie omosessuali è un tema ancora pieno di pregiudizi, lacune legislative e soprattutto di grandissime confusione e retorica.

Il filo invisibile riesce a sfuggire tuttavia sia la confusione sia la retorica. A costo di essere un po’ prevedibile, la trama è leggera e lineare, tracciata volutamente senza possibili ambiguità né voyeurismi. La vita di un giovane come Leone è raccontata cercando di evitare i cliché in favore di un realismo spontaneo: si fa le canne, si innamora, vince le sue paure, lotta a sua volta coi pregiudizi di chi lo vorrebbe gay. Soprattutto, come tanti altri figli, si trova a un certo punto a dover decidere da che parte stare, se da quella di un genitore o di quell’altro, dopo che un tradimento scoperchia una relazione ventennale e la espone ai venti della crisi. Il tormento di questa famiglia esplosa è raccontato cercando sempre il risvolto meno amaro, quelle situazioni che possano svoltare l’ansia in sorriso.

Timi e Scianna sono convincenti nella parte di due uomini gay maturi che cedono a un certo punto alla nevrosi dell’abbandono e della separazione, uscendo fuori dalle righe solo per necessità comiche, anche se qualche pathos in più non avrebbe nuociuto. Il dibattito poi sull’opportunità che ancora oggi attori eterosessuali interpretino ruoli omosessuali, come Scianna in questo caso, è ancora molto lontano dalla sensibilità italiana, e forse in questo caso sarebbe addirittura fuorviante. Anche perché pare evidente che quasi tutto il film si regge sulle spalle del giovanissimo Gheghi, già padrone della scena con un tormento interiore che si fa espressivo e al contempo mai eccessivamente drammatico. È una modulazione sottile la sua, quasi di sottrazione, e che fa intravedere già una grande maturità. 

È difficile dire se questo film, scritto e diretto da Marco Simon Puccioni, sia didattico, possa cioè potenzialmente insegnare qualcosa a chi ancora ha pregiudizi sull’idoneità di coppie gay a crescere dei figli. Piuttosto è sicuramente un film utile, proprio per la scelta di raccontare una storia come altre, una vicenda omosessuale finalmente liberata da nervosismi, tragedie e ipercorrettismi, in cui invece risaltano la quotidianità e persino la banalità di qualsiasi famiglia. È insomma pensato per “normalizzare”, come si dice usando un brutto termine che è anche una semplificazione quasi paradossale (eloquente tra l’altro che si sia dovuto aspettare un player internazionale come Netflix per commissionare questo tipo di film). Da questo punto di vista Il filo invisibile è una visione piacevolmente spensierata e al contempo socialmente potente, sperando che sia solo il primo di film lgbtq+ senza macchiette né eccessive pudicizie.

wired.it

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