«Dago in the Sky», D’Agostino racconta l’arte dei videogiochi

La lettura del presente, i codici per decifrare la realtà, i canoni estetici che cambiano, la riflessione sulle umane (in)capacità: da giovedì torna su Sky Arte alle 21.15 Dago in the Sky, il programma di Roberto D’Agostino (con la coautrice Anna Cerafolini) che mette ordine al magma di incertezza e mescolanza generato dalla condizione post-televisiva, quella che ha visto il passaggio dall’analogico al digitale: dal mondo come rappresentazione alla rappresentazione come mondo. «Se nelle passate edizioni c’era il racconto squadrato alla Mondrian, adesso l’immagine si scioglie in un caleidoscopio barocco come per gocciare, spumeggiare ed evaporare a uso dell’arte. Il futuro è nostro amico, anche quando è preoccupante e antipatico», spiega D’Agostino. Il suo è un viaggio in 10 puntate attraverso diversi temi letti in controluce. D’Agostino parla del Male perché è dalla notte dei tempi, dal «frutto proibito» di Adamo ed Eva, che il Fascino del Diavolo è posto all’origine del cammino umano, suscitando sempre fortissime emozioni sull’arte. D’Agostino riflette su come cambia la casa, l’antica capanna, che una volta era difesa dal fuoco e ora è asservita a cellulare e computer («la casa, oggi, l’abbiamo in tasca»).

Il surrealismo di Magritte

Nella prima puntata («L’arte del gioco») D’Agostino racconta l’arte dei videogiochi, «l’espressione artistica più eccitante dei nostri tempi, un medium che vive proprio dove l’arte incontra la tecnologia e il design». I videogame sono una vera industria, dove un team di 500 persone può lavorare a un progetto per due anni, sono l’evoluzione della fiaba che diventa azione, un mondo dove «non siamo semplici spettatori, ma spettatori di noi stessi». Un universo fantastico e di immaginazione che attinge all’arte, da De Chirico a Francis Bacon, fino a Magritte che con il suo surrealismo più di altri si presta a creare quel paesaggio chiuso e teatrale che rappresenta la piattaforma perfetta per i videogiochi. «I videogame più diventano complessi più si avvicinano alla realtà: meglio di altri codici della cultura di massa, hanno conquistato il nostro immaginario perché sono un modello ridotto, ma fedele della vita di oggi».

Renato Franco, Corriere.it

 

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