Giocare a scacchi con la morte, torna ‘Il settimo sigillo’ di Ingmar Bergman

In occasione dei cento anni dalla nascita del suo autore domani arriva nelle sale italiane il restauro, realizzato dallo Svenska Filminstitutet, di uno dei titoli più iconici del regista svedese. Nato osservando i dipinti nelle chiese e ascoltano i Carmina Burana

Su una spiaggia danese un cavaliere, di ritorno dalle Crociate insieme al suo scudiero, incontra un essere di nero vestito, è la Morte che vuole portarlo con sé. Il cavaliere ha il sangue freddo di sfidarla a una partita a scacchi, se riuscirà a batterla avrà salva la vita. In occasione del centenario della nascita di Ingmar Bergman e a cinquant’anni dall’uscita nelle sale italiane Il settimo sigillo ritorna al cinema nella versione restaurata dallo Svenska Filminstitutet grazie all’impegno della Cineteca di Bologna per portare i grandi classici del passato sul grande schermo per cui furono concepiti. “Quando l’angello aprì il settimo sigillo, nel cielo si fece un silenzio di circa mezz’ora e vidi i sette angeli che stavano dinnanzi a Dio e furono loro date sette trombe” si legge nell’Apocalisse. Aveva 39 anni il regista svedese quando concepì uno dei titoli più iconici della sua ricca filmografia, ma quest’opera ha una genesi lunga che affonda le radici fin nella sua infanzia. “Da bambino mi capitava talvolta di seguire mio padre nei suoi spostamenti quando doveva officiare messa nelle piccole chiese di campagna dei dintorni di Stoccolma – raccontava lo stesso Bergman, figlio di un pastore luterano – Mentre mio padre parlava dal pulpito, e i fedeli pregavano, cantavano o ascoltavano, io concentravo la mia attenzione sul mondo segreto della chiesa, costituito da volte basse, mura spesse, profumo di eternità, luce solare che tremava sulla strana  vegetazione dei dipinti medioevali e sulle figure scolpite sul soffitto e sulle mura. C’era tutto ciò che la fantasia può desiderare: angeli, santi, dragoni, profeti, demoni, bambini. C’erano animali estremamente spaventosi: i serpenti del Paradiso, l’asino di Balaam, la balena di Jonas, l’aquila dell’apocalisse… In un bosco, la Morte era seduta e giocava a scacchi con un cavaliere…”Quella suggestione infantile si rafforza nell’osservazione di un affresco anonimo della fine del 1300, dipinto sul muro di una chiesa di campagna nel sud dello Småland, che raffigura un cavaliere, il suo scudiero, un fabbro, una strega al rogo e altre figure della Svezia medievale. Da questa immagine nasce nella mente di Bergman un progetto teatrale, un atto unico, Pittura su legno, scritto nel 1954 per un’esercitazione dei suoi allievi alla scuola di teatro di Malmö, dall’atto unico la versione radiofonica finché – complice anche l’ispirazione che la musica dei Carmina Burana di Carl Orff gli aveva suggerito – nella mente del regista si fa largo il progetto di fare di tutto questo un film. Che si concretizza soltanto dopo il successo internazionale di Sorrisi di una notte d’estate, Bergman si trovò nelle condizioni di poter imporre al produttore Dymling un ultimatum: “Ora o mai, Carl Anders!”. Il produttore accettò ma concesse un budget limitato per le riprese e soltanto trentasei giorni di lavorazione. Il regista riscrisse cinque volte la sceneggiatura e ingaggiò per il ruolo della Morte un attore con cui aveva già lavorato molto: “Bengt Ekerot e io eravamo d’accordo sul fatto che la Morte dovesse portare una maschera da clown, quella del clown bianco, o, meglio, una combinazione tra la maschera da clown e il teschio” raccontava. Il Cavaliere è il grande Max von Sydow. Il film ottenne il Premio Speciale della Giuria a Cannes, ex aequo con I dannati di Varsavia di Andrzej Wajda., poi il Gran Premio dell’Accademia francese del cinema e venne acclamato in Francia, in Europa e negli USA come un capolavoro. In Italia venne distribuito con il divieto ai minori di sedici anni che venne tolto in seguito al taglio della sequenza in cui appare il cadavere putrefatto di un pastore (circa cento metri), ma la censura non si limitò a questo: alcuni dialoghi e frasi vennero completamente modificate e sostituite da altre spurie per edulcorare i passaggi aspri o irriverenti della sceneggiatura originale. Oggi, grazie a questa nuova versione, anche il pubblico italiano può apprezzarlo come il suo autore lo aveva immaginato. “Il settimo sigillo è uno dei pochi film che mi stiano veramente a cuore, ma non so perché – scriveva Bergman – Non si tratta, infatti, di un’opera priva di pecche. Viene fatta funzionare grazie ad alcune pazzie, e si intravede che è stata realizzata in fretta. Non credo però che sia un film nevrotico; è vitale ed energico. Inoltre, elabora il suo tema con desiderio e passione”.

Chiara Ugolini, La Repubblica

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