Matilda De Angelis: “La mia ossessione? La sincerità”. L’attrice presenta Atlas a Taormina

Matilda De Angelis incanta il Taormina Film Fest con la sua spontaneità e con il ruolo di una ragazza fiaccata da un dolore terribile. L’attrice è l’interprete principale del film in concorso Atlas, che è diretto da Niccolò Castelli.

La protagonista della penultima giornata della sessantasettesima edizione del Taormina Film Fest è Matilda De Angelis, che ha portato la sua verve, la sua spontaneità e la sua bellezza acqua e sapone in Sicilia. L’attrice, che si è ormai imposta anche all’estero grazie alla serie tv con Nicole Kidman e Hugh Grant The Undoing, è la protagonista del film in concorso Atlas, che prende spunto da una storia vera e racconta di Allegra, una ragazza sportiva e dinamica e abituata a mordere la vita che, in seguito a un traumatico incidente, è costretta a fermarsi, a elaborare un lutto e a superare un dolore che le resta come bloccato nel petto, rischiando di farla implodere. Atlas è diretto da Niccolò Castelli e arriva nelle nostre sale l’8 luglio distribuito da Vision Distribution.
Abbiamo incontrato Matilda De Angelis sulla terrazza dell’elegante e moderno Hotel Metropole. In abitino a righe e sandali, l’attrice ha parlato del suo personaggio, presente in quasi ogni singola inquadratura del film, e del lavoro fisico ed emotivo fatto per abbracciare nella sua pienezza il ruolo. L’attrice ha anche raccontato qualcosa dell’adattamento cinematografico del romanzo di Ernest Hemingway “Di là dal fiume e tra gli alberi”, della sua passione per la musica, del suo istinto e di quali aspetti di sé abbia scoperto grazie alla recitazione.

L’istinto

Ho una mia sensibilità artistica e un mio istinto che, col senno di poi, posso definire abbastanza sviluppato. Probabilmente è stato forgiato da una cultura positiva, da due genitori che a loro volta hanno avuto genitori, e quindi è come se negli anni avessi raccolto tutta una serie di pensieri e di suggestioni che hanno formato un istinto tutto mio che difficilmente nel tempo mi ha tradito. Ci sono delle volte in cui leggo una storia e sento di impulso di aver voglia di raccontarla perché ho l’impressione che ci sia qualcosa di autentico. Non è importante che un personaggio parli a una parte di me che conosco benissimo. Può essere anche lontanissimo da me, ma se se percepisco una sincerità in quello che leggo, allora mi viene voglia di impegnarmi e di essere io l’attrice capace di restituire quella sincerità a una terza persona. Lo confesso: sono ossessionata dalla sincerità.

Il personaggio di Allegra

Di Allegra ho amato proprio l’estrema sincerità. Spesso, al cinema, i protagonisti vengono estremamente romanzati, e quindi o sono totali antieroi, o eroi dai poteri soprannaturali che nell’arco di un’ora e mezza riescono a compiere gesta incredibili. Allegra, invece, aveva un percorso molto onesto e vero, tant’è che il suo viaggio di liberazione inizia alla fine del film, e quindi lo spettatore non arriva mai a conoscere un’Allegra definitivamente lontana dalle sue paure e dai suoi preconcetti. Di Atlas mi piaceva inoltre il fatto che non ci fosse nessun tipo di giudizio nei confronti del dolore della protagonista. Il film è semplicemente il racconto di un dolore provocato da un trauma specifico e intensissimo. Il resto tocca allo spettatore.

L’empatia e il dolore

Il “lavoro” dell’empatia è sempre impegnativo sia nei confronti degli altri che verso noi stessi. La ricerca della verità è complicata, perché bisogna veramente guardare in faccia le cose per quello che sono, e quando fai questo mestiere non ti puoi nascondere più di tanto. A volte però entrano in campo resistenze che sono quasi naturali, perché nei confronti del dolore spesso ci chiudiamo per paura di affrontarlo. Io sono una persona che spesso ha un rapporto con il dolore piuttosto stoico, e ciò significa che difficilmente piango o mi dispero, per cui il mio dolore è molto interno, è una cosa veramente intima, e quindi ho pensato di portare questa parte di me nel personaggio. Sapevo benissimo, inoltre, che il dolore compresso è terribile, ma quando finalmente ti dai la possibilità di esplodere, significa che in qualche modo stai cominciando a esorcizzarlo. Sicuramente la sofferenza di Allegra mi ha fatto paura, però interpretarla è stato anche un esercizio terapeutico.

Il lavoro sul corpo e sull’emotività

L’emotività di Allegra andava di pari passo con la sua fisicità. All’inizio il personaggio ha una fisicità esplosiva ma quasi falsa in qualche modo, perché è come nascondesse una profonda impazienza. Il suo desiderare sempre qualcosa di più, o il fare 350.000 cose alla volta, le impedisce di godersi i momenti di felicità. Non riesce a vivere una relazione con un ragazzo che è innamorato di lei perché è sempre proiettata verso un futuro che non conosce, e quando arriva in cima alla montagna al principio del film, già propone agli amici un’altra scalata. Quindi la sua è una fisicità che vuole nascondere qualcos’altro, come quando si parla per non ascoltare i silenzi. Poi però Allegra si ritrova catapultata in una situazione completamente opposta, fatta di silenzio e di stasi, dalla quale non può uscire perché ha un handicap. Per questa seconda fase del film e del personaggio è stato importante e interessante lavorare con una fisioterapista molto brava, che mi ha spiegato quanto sia difficile, durante il recupero, semplicemente muovere la testa, gli occhi, alzare una mano e metterla su un tavolo. A volte il tuo corpo inizia a tremare e tu non te ne accorgi, non lo puoi controllare. Ricreare una cosa del genere è stato complicato, perché, se non lo hai provato, lo sforzo di immaginazione è quasi folle.

La giovane donna che ha ispirato Atlas

Ho conosciuto la ragazza che con la sua vicenda ha ispirato il film. con Niccolò siamo andati a cena insieme e non ho mai pensato di farle domande, perché credo ci voglia rispetto quando si affrontano temi tanto delicati, e spesso noi attori di cinema abbiamo la presunzione di pensare che il fine giustifichi sempre i mezzi. Invece non è così. Non volevo studiarla, non volevo usarla come cavia per costruire il mio personaggio, mi faceva piacere conoscerla e di parlare con lei di ciò che preferiva. Ero curiosa di capire in che maniera si sarebbe rapportata a me. Aveva una fierezza incredibile, forse eccessiva, quasi a voler dimostrare che non aveva niente di strano, di sbagliato. Poi ci sono stati momenti in cui si è un po’ aperta, e allora ho visto tutta la sua fragilità.

La musica

Ho un’età tale per cui sono ancora molto soggetta al mio giudizio, sento sempre di non avere gli strumenti e le capacità per dedicarmi alla musica, di avere poco da dire, da raccontare, di non saperlo fare. La musica è una cosa molto personale per me, che sono stata abituata per tanto tempo a fare in gruppo, e quindi fatico a trovare la forza per percorrere quella strada da sola. Però devo dire che negli ultimi tempi ho conosciuto sempre più gente legata al mondo della musica che spesso mi coinvolge e mi fa tornare voglia di cantare. Ho spinto parecchio negli ultimi anni per dimostrare che so fare le cose. Probabilmente, adesso che sto iniziando a rallentare, credo che ci possa essere lo spazio per dedicarmi ad altro.

Madame

Madame è un piccolo fenomeno, nel senso che ha 18 anni ha una consapevolezza di se stessa e del suo strumento incredibili, che io non avevo alla sua età e non ho nemmeno adesso. E’ una fortuna essere così. Mi ispirano molto questi ragazzi giovani che hanno questo talento pazzesco e questa fame. Madame mi piace molto.

La sensualità e l’ironia

Quando ho fatto The Undoing, ho scoperto di possedere una certa sensualità. Non sapevo di averla, e mi sono detta: ‘ma guarda che cosa interessante’, perché, mentre ero lì sul set, pensavo: sono sbagliatissima per questo ruolo, non mi sento sensuale. E invece non era vero, anche se si trattava di una sensualità un po’ inquietante e comunque figlia di un disturbo psicologico di una donna. Confesso che mi piacerebbe anche capire se la mia ironia o la mia comicità, che sono caratteristiche che vengono fuori nella mia vita di tutti i giorni, potrebbero funzionare in un personaggio cinematografico. Che sono drammatica lo so da quando ho 3 anni, però penso di avere anche una parte un po’ più spensierata che forse non è ancora venuta fuori al 100% e che desidererei sondare.

Il film dal romanzo di Hemingway

Ho finito di girare il film a gennaio a Venezia. E’ stato bellissimo e difficilissimo. E’ stato complicato prima di tutto perché è un film interamente girato in lingua inglese. Hemingway è un autore che dal nostro punto di vista (mio, della regista Paula Ortiz, di Liev Schreiber e del produttore) non è esattamente femminista, è uno scrittore piuttosto pesante, quindi abbiamo cercato di svecchiare il suo romanzo da cui è tratto il film, che si intitola Di là dal fume e tra gli alberi, mantenendo i punti salienti della storia. Mi è piaciuto girare a Venezia perché la città è una bolla che sembra rimasta congelata nel tempo. Le famiglie nobili, per esempio, il pomeriggio vanno ancora all’Harris Bar e poi a sparare alla anatre, e hanno la barca e vanno al Gritti per l’aperitivo, e hanno conosciuto Hemingway e Adriana Ivancich, la donna che ha ispirato poi il personaggio di Renata Contarini del libro. Il film è girato interamente in bianco e nero, quindi speriamo che sia romantico e che Venezia possa restituire allo spettatore la stessa magia che ha regalato a noi mentre giravamo, completamente di notte, in esterno e in inverno.

comingsoon.it

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