Riparte la saga di «Avatar», in Nuova Zelanda si girano i nuovi quattro film

Un film che ha riscritto le regole tra cinema e tecnologia, rendendo la visione un’esperienza quasi psichedelica, immersi per due ore e mezza in quella luce blu che attiva gli agenti regolatori della serotonina e ha il potere di ridurre la frequenza cardiaca. Sembrava di essere lì, nel mondo nient’affatto distopico di Pandora, un Eden che ancora una volta rischiava di essere compromesso dall’ambizione dell’uomo. Undici anni fa Avatar ha tracciato una linea tra il prima e il dopo. E si appresta a farlo anche adesso. Tra i primi set di Hollywood a ripartire dopo il lockdown c’è quello di Avatar 2, bloccato dal Covid insieme alle lavorazioni del terzo, quarto e quinto capitolo. Il produttore Jon Landau ha riacceso le luci con uno scatto pubblicato su Instagram insieme al regista James Cameron sulle piste dell’aeroporto di Wellington. Cameron, Landau e il resto della crew (una sessantina di addetti ai lavori) sono stati autorizzati a entrare in Nuova Zelanda perché considerati «soggetti di valore economico». Facile da credere visto che il primo Avatar incassò 2,7 miliardi di dollari (record battuto nel 2019 da Avengers: Endgame per soli 7 milioni di dollari) e ora si appresta a diventare una sorta di colossale serie tv per il cinema, con altri 4 capitoli previsti, budget da 1 miliardo di dollari, 250 milioni a film.

«Dal 2013 fino ad oggi abbiamo essenzialmente progettato l’intero universo che avremmo raccontato in questi quattro nuovi film — ha raccontato Cameron in un’intervista —. Abbiamo scritto i film e abbiamo terminato le sceneggiature di tutti e quattro i sequel. Abbiamo scelto gli attori e abbiamo girato le performance in motion capture per il secondo Avatar, per il terzo e per la prima parte del quarto». Nato in Canada, nella piccola città di Kapuskasing, Cameron è stato ispirato dalla natura selvaggia in cui è cresciuto. Più tardi, le immersioni — è un sub appassionato, con un batiscafo è si inerpicato all’ingiù nella Fossa delle Marianne — sono state l’occasione per esplorare gli oceani. Le esperienze in paesaggi così prepotenti hanno nutrito la sua immaginazione e hanno partorito il mondo di Pandora, il pianeta al centro di Avatar, un’ambientazione favolistica, lussureggiante e fantascientifica, una fauna e una flora da stropicciarsi la bocca aperta. Del resto il regista non ha mai nascosto il messaggio ambientalista del film: «Avatar è anche un film ambientalista e fa riflettere sul fatto che gli indigeni rimasti su questo pianeta — specialmente nelle foreste pluviali — sono una specie di cani da guardia della natura. Conoscono il modo corretto in cui gli esseri umani dovrebbero vivere in equilibrio con il loro mondo naturale».

Se il mondo immaginato era visionario, la trama era senza’altro più scontata, con richiami a Balla coi lupi (il protagonista riesce a farsi accettare lentamente dalla «tribù» aliena dei Na’vi) e Pocahontas (l’indigena powhatan della Virginia che nel 1607 salvò la vita a un colono). «Le mie fonti sono state l’intera storia della civiltà europea che migrava nel nuovo mondo, fosse l’Australia o la Nuova Zelanda, il Sud o il Nord America, la conquista del nuovo mondo a spese di un numero enorme di indigeni. È una storia lunga e sanguinosa e penso che i punti di riferimento siano chiari».

Le tappe di Avatar sono state già scritte, i film usciranno a dicembre degli anni dispari: il secondo capitolo è previsto nel 2021, l’ultimo, Avatar 5, nel 2027. Si riparte da dove ci eravamo lasciati, ma qualche anno dopo con i due protagonisti Jake Sully (Sam Worthington) e Neytiri (Zoe Saldana) che sono diventati una famiglia. Il ruolo del cattivo è sempre cucito addosso al Colonnello Quaritch (Stephen Lang), una sorta di cyborg umano; mentre per i nuovi personaggi nel cast entrano Kate Winslet, Michelle Yeoh e Vin Diesel. Cameron crede nella scienza e nella fantascienza. «Sono la stessa cosa — la sua riflessione — uno studia Fisica e Astronomia, come ho fatto io, perché vuole capire l’universo. C’è chi ci prova con la religione e c’è chi lo fa con la scienza».

Renato Franco, Corriere.it

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