Le pagelle della prima serata del festival di Sanremo

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È stata Irene Grandi a rompere il ghiaccio della 70esima edizione. A Gualazzi, invece, l’onore di chiudere la lista dei primi 12 campioni in gara. Come sono andati e quali le canzoni che più ci hanno convinto. Siete d’accordo?

La 70esima edizione del Festival di Sanremo la apre Fiorello, che per molti malpensanti è il vero conduttore e deus ex machina di questo festival; ma sono malignità, anche se sono in tanti, alla fine dell’intervento, a stupirsi dell’ingresso sul palco di Amadeus. Lo showman siciliano apre le scene vestito, dice, con l’abito di Don Matteo “l’unico Matteo che funziona in Italia”, segno che Fiorello è di un’altra categoria, non perché bravo o meno, e naturalmente bravo lo è, e anche tanto, ma perché è l’unico in Italia al quale tutto viene perdonato, che tutto può dire, fare e far fare. 

È evidente il legame tra Amadeus e Fiorello e questo potrebbe davvero essere l’asso nella manica di questa edizione. Si parte con i giovani. Prima sfida tra gli Eugenio in Via di Gioia, realtà indie già ampiamente consolidata, e la giovanissima Tecla, vincitrice annunciata della categoria, che già vola con la sua “8 marzo” nelle classifiche radio e web; una canzone che funziona maledettamente bene, tant’è che per uno 0,6% è lei ad andare in semifinale.

Seconda sfida tra Fadi e Leo Gassmann, il primo è artista di gran talento dalla voce intrigante e dal look discutibile, che magari non ti fa venir voglia di votarlo ma che promette serate in giro divertenti, tant’è che quando perde va via al grido di “W la Romagna e W il Sangiovese”, vincendo immediatamente a mani basse il premio simpatia; Leo Gassman, figlio e nipote d’arte che si era già infilato dentro X-Factor con infruttuosa passione, passa il turno con un brano decisamente inferiore.

Capitolo co-conduttrici, Diletta Leotta entra per prima, bella è dire poco; il monologo sull’età con la complicità della nonna in prima fila, più che rivedibile è stato imbarazzante, se la cava meglio nella gag dell’intervista post-partita. Lo shock, il tilt, il corto circuito è rappresentato dalla presenza di Rula Jebreal, donna magnifica che approfitta della sua presenza a Sanremo per denunciare la posizione della donna in maniera intelligente, innovativa, commovente, onesta.

Irene Grandi – “Finalmente io” – Voto 6,5: Il brano che Irene Grandi, 25 anni di carriera sulle spalle portati con grazia e carica erotica non indifferente, l’ha scritto Vasco Rossi. Una collaborazione che funziona da sempre, perché la cantante toscana c’ha la cazzimma della rocker e contemporaneamente un sorriso che la rende adorabile e inattaccabile. La canzone funziona, è pronta ad esplodere dal vivo, chissà se abbastanza per volare in classifica. “Facciamolo qui e adesso” però crea ingiuste illusioni e non si gioca col cuore degli altri.

Marco Masini – “Il confronto” – Voto 5: Una canzone molto personale che Masini evidentemente si autodedica, cosa che comunque avrebbe potuto fare anche a casa sua. A sorpresa non canta benissimo, perché Masini è musicista e cantante dalla tecnica sopraffina, inattaccabile, uno che si fosse presentato al pubblico in quest’epoca indie avrebbe riempito gli stadi; purtroppo negli anni ’90 l’introspezione era considerata sfiga, sotto tutti i punti di vista. Cosa che ci fa tifare per lui, sempre, comunque. La canzone ha limiti evidenti considerato che sappiamo bene che stiamo parlando di un cantautore capace di sfornare capolavori, attenzione, al plurale. Che Dio lo abbia in gloria sempre.

Rita Pavone – “Niente (resilienza 74)” – Voto 5: Vorremmo dire che la Ritona nazionale non dimostra affatto i suoi anni, ma i primi piani con i quali la regia decide di omaggiarla ci dicono il contrario. Possiamo anche apprezzarne la forza di volontà, la grinta memorabile, quel vago senso vintage che accompagna pezzo, esibizione, vitalità…meglio, meno, presenza; ma tutto si ferma lì. Chi la vota non è certo perché il pezzo è bello, perché il pezzo è oggettivamente poca roba e spente le telecamere non lo sentirà più nessuno. Mai più nessuno. Per nessun motivo. Mai.

Achille Lauro – “Me ne frego” –  Voto 5,5: Lauro, considerato il David Bowie del suo condominio, lo aveva annunciato nel pomeriggio con una lettera arrivata nelle mail dei giornalisti in sala stampa: “Ho deciso di osare, di azzardare, qualcuno potrà dire che sono pazzo: sono disposto a correre il rischio”. Il tutto si basa nel presentarsi sul palco con un mantello che cela una tutina dorata. Mmm….ok, va bene, ma il risultato sembra più un diversivo per nascondere un pezzo che arriva tanto quanto. Al momento dello strip scoppia un putiferio di ovazioni; il gesto colpisce ma ci si dimentica che nel frattempo ci sarebbe anche una canzone da cantare e servirebbe anche un briciolo di talento per farlo, cosa che, non prendiamoci in giro, con tutta la simpatia del mondo, manca.

Diodato – “Fai rumore” – Voto 5,5: Diodato più che ascoltarlo ti vien voglia di accarezzarlo, scaldargli una tisana e rimboccargli le coperte. È intonato, preciso, pulito e tremendamente, tremendamente noioso. Una sensazione talmente forte che il brano si beve veloce come acqua fresca ad agosto, peccato che tu avevi ordinato una vodka. Ecco, la delusione in bocca è più o meno quella. Nonostante ciò potrebbe vincere.

Le Vibrazioni – “Dov’è” – Voto 5: La band più sottovalutata della storia della musica italiana porta un pezzo che segna il territorio, che ci dice semplicemente “ci siamo”. Ne siamo lieti, intendiamoci, davvero, ma sappiamo con certezza che possono dare molto di più, perché c’è capacità compositiva, talento, voce. “Dov’è” non è un bel pezzo e l’idea di portarsi in scena un neo Mauro Repetto appare perlomeno pleonastica. Comunque, a sorpresa, vincono la serata.

Anastasio – “Rosso di rabbia” – Voto 8: Questo ragazzo c’ha l’oro nelle mani, un talento quasi psicopatico, tipico dei migliori rapper, quelli che non si limitano a dire qualcosa, ma ad interpretare qualcosa, una visione del mondo precisa, lucida e rabbiosa, così come sempre dovrebbe fare il rap. Se poi pensiamo che il ragazzo ha solo 21 anni c’è da alzarsi in piedi e applaudire. Viviamo tempi confusi, in bilico tra nostalgia per quel cantautorato del passato del quale non riusciamo a trovare eredi credibili e trapper che si mangiano le classifiche spesso senza avere idea, senza saper mettere due note e due parole in fila; in mezzo a tutto ciò Anastasio potrebbe non solo essere una speranza, ma il posto dove andare a cercare il futuro della musica italiana. Anastasio non rappa, ma celebra il rap, lo riabilita di fronte a tutti coloro i quali si rifiutano di ammettere che forse quel cantautorato italiano è lì che va a finire e non è un peccato ma un’evoluzione molto interessante. “Rosso di rabbia” è il miglior pezzo di questo festival in quanto a profondità, significato e significante. Vincerà? Speriamo, non perché cambierebbe qualcosa nella luminosa carriera che aspetta Anastasio, ma perché vorrebbe dire che qualcosa sta cambiando nel modo che questo paese ha di recepire la musica, che chiediamo qualcosa di più di mero intrattenimento e figurine da talent.

Elodie – “Andromeda” – Voto 6,5: La canzone l’ha scritta Mahmood, la produzione è di Dario Faini, in arte Dardust, ovvero la stessa squadra che l’anno scorso si è portata a casa la vittoria con “Soldi”. Il pezzo è praticamente identico, per fortuna a cantarlo è Elodie che, oltre ad essere molto brava, brava del tipo che ti dimentichi che proviene da un talent che più che carriere sforna effimere apparizioni, è di una bellezza sconcertante. Giudicare il pezzo con questi presupposti, lo ammettiamo, è complesso, perché ci sentiamo un po’ presi in giro, come quando esce un nuovo pezzo di Tommaso Paradiso. Non è questione di essere bello o brutto, è che ci scorgi dietro l’intenzione di cucinare nuovamente quella ricetta che ha funzionato. Ciò non toglie qualità al pezzo ma toglie autenticità all’ascolto; trasforma un’opera d’arte in un’operazione commerciale e non possiamo dire che la cosa ci riempia il cuore di gioia.     

Bugo e Morgan – “Sincero” – Voto 7: I Bluvertigo, rispolverati, incontrano l’indie inizio secolo di Bugo, un genialoide che ha ottenuto molto meno dalla musica di quello che avrebbe meritato. Fanno quello che ci si aspetta da loro, portano a Sanremo quello che manca: un po’ di follia, un po’ di azzardo, un po’ di sperimentazione; e la cosa funziona, anche se Bugo viene preso un po’ in contropiede dalla notoria tensione che provoca il palco dell’Ariston anche a chi va lì a spaccare tutto, anche a chi va lì avendo già spaccato tutto ovunque, e la voce di Morgan non ingrana a dovere. L’effetto è sporco come dovrebbe. Non hanno la minima possibilità di vincere, è chiaro, anzi forse puntano direttamente all’ultimo posto, ma non sono lì per quello, sono lì per ricordarci che c’è un altro universo musicale decisamente più divertente. 

Alberto Urso – “Il sole ad est” – Voto 2: Il quarto de’ Il Volo che nessuno ha mai richiesto. Nonostante le inclinazioni rock, capiamo la valenza del bel canto, ma tutto questo è un po’ troppo. Amadeus commentando il cast in conferenza stampa ha parlato di “fotografia della discografia italiana”, ma probabilmente non ha controllato la data dietro, perché il messinese non c’entra niente con quello che sta accadendo alla musica italiana in questo momento, mentre Sfera Ebbasta fa il giudice a X-Factor, tha Supreme sforna a diciotto anni uno degli album rap più eccentrici e innovativi degli ultimi anni e Calcutta riempie gli stadi. L’intonazione c’è (e ci mancherebbe) ma l’impressione è che il bivio porti o sulla scia di Andrea Bocelli, ma ripensando a “Il mare calmo della sera” e “Con te partirò” ci sentiamo in imbarazzo anche solo a pensarlo, o sulla via del dimenticatoio, già affollata di colleghi che sono stati sputati fuori dai talent.  

Riki – “Lo sappiamo entrambi” – Voto 4,5: Fa tenerezza il giovane Riki, che sembra convocato nel cast per fare numero, come quando a calcetto manca uno all’ultimo momento. La canzone si ascolta e passa.  

Raphael Gualazzi – “Carioca” – Voto 7: Pezzo che rispecchia il genio creativo, divertente, coinvolgente di uno dei musicisti più preparati del panorama italiano, sicuramente del cast. “Carioca” si balla, si ascolta, col sorriso sulla bocca. È un pezzo che merita la vittoria ma che prima deve passare dal test pubblico, in un mondo ideale ci fa alzare tutti a ballare, cantare e, soprattutto, votare. Ma questo, lo sappiamo, non è un mondo ideale. Comunque vada, bravissimo. Issimo.    

agi.it

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