SIANI: «MA CHE TROISI. L’UNICA EREDITÀ È IL COLESTEROLO DA MIO PADRE»

foto_alessandro_siani-1000x400Il coraggio della semplicità. Unito all’aria da bravo ragazzo e alla capacità di apparire un po’ romantico e un po’ clown, un po’ ridicolo e un po’ tenero. Nel primo giorno dell’anno, con il nuovo film “Mister Felicità”, Alessandro Siani ha battuto la concorrenza dei titoli americani, piazzandosi (secondo i dati Cinetel) in testa alla classifica dei film più visti con un incasso di 1 milione 937 mila euro: «Non so come andrà, ma, almeno per un poco, mi sono sentito davvero Mister Felicità. E non era un film!».
Napoletano, classe 1975, debuttante, dieci anni fa, sulla scena partenopea del Tunnel Cabaret e poi attivo al cinema, in teatro, in tv, Siani ha la singolare caratteristica di essere amato, ma anche odiato, per la stessa, identica ragione. E cioè il paragone con Massimo Troisi. Per molti improponibile e blasfemo. Per altri piacevole, forse consolatorio. Lui, ovviamente, si tira indietro, con la modestia che gli appartiene e che completa il suo personaggio.

In questo, come negli altri suoi film, lei fa ridere, ma anche innamorare. Proprio come accadeva a Massimo Troisi.

«Quella di Troisi è una sfera talmente alta e irripetibile che io non ci penso nemmeno. Se in questo film non ci fosse stato un po’ d’amore non ci sarebbero state le risate e, comunque, a me le parti romantiche piacciono, le sento più vicine alla terra da cui provengo. Voglio dire che certe analogie fanno parte dell’anima di una città, che nel mio caso è Napoli».

Città che non ha mai lasciato.

«Sì, non sono emigrato, resto lì e ci sto bene».

Insomma, lei non si sente erede di nessuno. Giusto?

«Per ora riconosco una sola eredità, e cioè i valori del colesterolo, gli stessi di mio padre».

Per lei che cos’è la felicità?

«Per me felicità è riuscire a fare quello che avevo sognato fin da bambino. Essere dove sono è una cosa strepitosa. Il mio lavoro è passione a tempo indeterminato, provare a fare sempre un passo avanti, cercando scenari nuovi, affascinanti, ma anche pieni di insidie».

In questo momento storico è molto difficile parlare di felicità.

«Sì, avverto una grande rabbia, e poi le polemiche che si accendono ovunque, in mille campi diversi. La vittoria di Trump viene dai voti di protesta e vuol dire che i sentimenti di insoddisfazione ormai condizionano le decisioni importanti».

La vicenda di “Mister Felicità” ruota intorno al concetto del reagire all’insuccesso. Le è mai capitato di dover mettere in pratica la lezione?

«Le cadute ci sono ogni giorno, rialzarsi vuol dire anche dare stimolo e entusiasmo a chi non ne ha, magari attraverso una risata. E poi impegnarsi, per esempio nella ricerca dei nuovi talenti, come sto facendo con la Cattleya Lab, creata proprio per questo. Nel nuovo anno uscirà “La fuitina sbagliata”, di cui sono produttore, con il duo comico siciliano “I soldi spicci”. Realizzare film a basso costo è interessante, ed è un antidoto contro la malattia degli incassi».

La Napoli degli ultimi tempi, sul piccolo e grande schermo, è soprattutto la Napoli di “Gomorra”. Lei propone un genere opposto di napoletanità.

«Se c’è Gomorra, ci deve essere anche “Benvenuti al Sud”. Napoli ha mille facce, non è giusto rappresentarne una sola. E poi la camorra e la criminalità non sono un problema solo nostro, oggi sono internazionali, come il terrorismo e il malaffare. Il mio ruolo è far sorridere, proponendo personaggi di anti-eroi».

Il suo prossimo impegno la vede al fianco di Diego Maradona. Di che si tratta?

«È un testo teatrale, lo stiamo scrivendo insieme, si chiama Tre volte 10. Maradona lo interpreterà al San Carlo, il 16, a 30 anni dal primo scudetto del Napoli. Lo fa per amore dei napoletani, non certo per me.

IL SECOLO XIX

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