L’OMAGGIO DI TERESA DE SIO: PINO DANIELE UN CAPO CHE INSEGNA ANCORA»

La cantautrice napoletana torna con un disco in cui rilegge i successi dell’amico collega a due anni dalla sua morte: «A Napoli ci chiamavano il gallo e la gallina»

Italian songwriter Pino Daniele in concertL’amicizia tra Teresa De Sio e Pino Daniele ha radici lontane. Una storia made in Napoli, che per anni ha viaggiato su cammini diversi. «Io seguivo la strada del folk, lui quella più americana del blues. Siamo rimasti a guardarci da lontano, come amici a distanza» ricorda Teresa De Sio. Pino Daniele moriva a Roma, il 4 gennaio di due anni fa. Il 13 gennaio uscirà «Teresa canta Pino», il ricordo cantato dell’amica. «Un atto di devozione, un progetto nato spontaneamente, che mantiene l’equidistanza tra noi due. Ho cercato un punto d’incontro tra la sua musica e i miei suoni: la fusione di due linguaggi» spiega l’artista napoletana, che torna a cinque anni di distanza da «Tutto cambia».
Un classico non smette di comunicare, regge a ogni interpretazione. «Ho voluto lasciare intatta l’anima dei brani, costruendo il rivestimento sonoro» dice. Nel disco ci sono 15 canzoni di Pino, da «’O Scarrafone» a «Quanno chiove» e «Notte che se ne va», riletti da De Sio. C’è anche un brano inedito: «’O jammone», ossia «il capo», scritto da Teresa in ricordo dell’amico collega. Alla copertina dell’album è molto affezionata. Ci sono un gallo e una gallina che si guardano negli occhi: «A Napoli ci chiamavano così: sono io che seguo il mio cantore».
L’ultimo incontro artistico fra i due risale al 2013. Teresa è ospite al Palapartenope di Napoli per una serie di concerti. «Lì ci siamo ritrovati dopo anni: mi chiamò lui per invitarmi». Ma la memoria torna ogni volta al primo incontro, nel 1978: «Io ero agli esordi, lui un personaggio già amato, amato anche da me. La prima volta da parte mia ci furono solo complimenti, poi è nato il confronto: penso che questo spirito si senta nel disco» racconta. Teresa De Sio oggi ha 61 anni, gli ultimi passati soprattutto a scrivere libri: sono nati due romanzi (Metti il diavolo a ballare e L’attentissima). «Mi hanno permesso di mettere a fuoco le mie due anime. La canzone è sintesi, in tre minuti devi esprimere una visione. Il romanzo ha tempi lunghi. Brian Eno un giorno mi disse che ci sono due modi per vivere l’arte: con un romanzo si scava un tunnel, facendo musica ci si surfa sopra, vivendone tutta la leggerezza. Mondi che si completano».
Napoli lega la storia dei due artisti. «Una città trasformata dalle dominazioni, abbiamo assorbito da tutti, diventando un pozzo di cultura. Negli anni ’80 abbiamo iniziato a uscire dagli stereotipi pizza e mandolino. Oggi invece si è persa la ricerca delle radici. Si sente più apparenza che sostanza. La nostra energia napoletana si è dispersa. Il mondo si è fatto più asfissiante, per questo l’hip hop funziona: perché è l’unico sfogo che arriva dalla strada». L’ultimo ricordo è ovviamente per Pino: «Ci siamo visti poco prima che morisse: a cena a casa sua, a Roma. Mi porto sempre dentro la sua lezione. Mi diceva: “Dobbiamo sfondare i modelli musicali, fare la nostra musica, in dialetto, ma senza che diventi mai un’imitazione, una replica. Una ripetizione”».

di Stefano Landi, Il Corriere

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