‘IL CLIENTE’, IN VIAGGIO CON FAHRADI: COME HITCHCOCK, MA A TEHERAN

asghar-farhadiL’iraniano Ashgar Farhadi è il maestro della suspense e al servizio del realismo sociale. I suoi drammi familiari, costruiti con un disvelarsi progressivo di indizi degno di Hitchock, indagano il malessere della giovane borghesia di Teheran divisa tra modernità e tradizione. Farhadi, grande ammiratore di Abbas Kiarostami, è considerato uno degli autori più rappresentativi del cinema iraniano contemporaneo, di sicuro il più conosciuto. Una popolarità internazionale cresciuta con About Elly, Orso d’argento alla Berlinale nel 2009 e soprattutto, due anni dopo, con Una separazione, interno di famiglia con divorzio che ha fatto incetta di premi: Orso d’oro, Golden Globe, Oscar, César: un successo senza precedenti per un film iraniano. Dopo un rapido passaggio in Francia, dove Farhadi ha realizzato Il passato, con Berenice Bejo, e in attesa del progetto spagnolo prodotto da Almodovar (“la storia mi porta in Spagna, un luogo vicino alla mia cultura”) Farhadi è tornato in patria per girare Il cliente, in sala oggi. Repubblica.it vi propone cinque minuti del film in anteprima.
Una coppia (Shahab Hosseini e Taraneh Alidoosti) apparentemente unita e che progetta di avere un figlio è costretta a spostarsi in un appartamento in affitto perché il palazzo in cui vive rischia il crollo. Un giorno squilla il citofono e lei, pensando sia il marito, apre. È invece un cliente della prostituta che viveva prima nell’appartamento e che aggredisce la donna sotto la doccia. Dopo il colpo iniziale, il consorte, partendo dagli oggetti che lo sconosciuto ha lasciato in casa (soldi, telefonino, le chiavi di un furgone) si lancia in un’indagine vendicativa. La storia reale s’intreccia con quella della pièce che i due intellettuali recitano a teatro, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller.
Premiato a Cannes per sceneggiatura e attore, dapprima Il cliente è stato accolto con diffidenza in patria riguardo all’immagine che dà del paese, ma il pubblico è accorso in massa e alla fine è stato scelto per rappresentare l’Iran agli Oscar, entrato nella shortlist dei film in lingua straniera.
Farhadi, Il cliente esplora il lato oscuro della vendetta, ma anche le divisioni sociali di Teheran.
“Come ogni società, a Teheran coesistono classi sociali molto diverse. Il ceto medio è la componente più ampia, che è una buona cosa. Ma è una classe giovane per una società come la nostra, che cerca di vivere in armonia tra tradizione e modernità. Alcune forme di violenza nei rapporti sono causate dalla rigidità della tradizione, altre da una modernizzazione troppo veloce. I miei protagonisti conducono uno stile di vita appartentemente moderno, ma, quando è violato il loro rapporto intimo, loro reazione all’aggressione è conservatrice”.
La donna, dopo il primo impatto, tende a perdonare, il marito invece sviluppa un sentimento di vendetta arcaico.
“Volevo mostrare lo scarto tra l’idealità dei personaggi che sul palco sembrano aperti, generosi, sintonici, e che nella realtà perdono rapidamenti questi valori. Entrambi si confrontano con il perdono, lei ci riesce, lui no. Ciò che colpisce è che da questo personaggio colto e aperto ci si sarebbe aspettato se non compassione almeno un comportamento civile. Rende tutto più tragico, la brutalità di un uomo da cui ci saremmo aspettati di più”.
Diventa brutale anche con la moglie, che è invece la vittima.
“Lo è con tutto il mondo che lo circonda: legge le lettere e ascolta i messaggi degli altri, guarda le foto del cellulare del suo studente. L’intruso ha violato il suo spazio intimo una volta, lui lo fa più volte nella vita di molte persone”.
Perché la coppia non si rivolge alla polizia?
“Perché significherebbe allungare i tempi, mentre invece ha bisogno di trovare una riposta rapida al malessere che prova. E la donna è a disagio nel raccontare cosa le è successo”.
Non sappiamo cosa sia successo in quel bagno.
“No, sappiamo solo che un intruso ha violato la sfera intima di una famiglia. E sappiamo che gli altri, i vicini, pensano sia stato uno stupro. La coppia forse sa che nulla è successo, ma si concentra su ciò che gli altri pensano. La vendetta si basa non sui fatti ma sull’immagine che hanno gli altri di ciò che è successo”.
Com’è entrato nel film Morte di un commesso viaggiatore?
“Ho sempre voluto girare un film sul mondo del teatro, da giovane l’ho anche fatto. Ho capito che quella di Miller era la storia che cercavo, anche perché contiene il personaggio del venditore, che è poi il “cliente”. È un’opera di critica sociale su un periodo di storia americana in cui la brusca trasformazione urbana, la modernizzazione, ha schiacciato la parte di società che non è riuscita ad adattarsi. La New York di allora somiglia alla Teheran odierna: una città che cambia a ritmo vorticoso e abbatte ciò che è vecchio, palazzi al posto di frutteti e giardini. E poi nelle storie di famiglia, nei miei film, la casa e la città hanno sempre un ruolo fondamentale”.
Nel film la polizia cerca di censurare la pièce.
“In Iran Morte di un commesso viaggiatore è stata portata in scena spesso, ovviamente sempre è stata censurata in alcuni punti. Ma il riferimento alla censura è connesso al tema stesso del film. Uno degli aspetti di chi sostiene la censura è che assicuri la moralità sociale. Nel film vediamo che, malgrado le regole, una turbolenza morale esiste. E che questi limiti oltre che inefficaci si rivelano peggiorativi”.
Come vive la censura in Iran?
“Quando cresci in un paese, ti adatti e trovi comunque le sfumature giuste per esprimerti. È come chiedere a qualcuno come sarebbe la sua vita se il posto in cui vive fosse più caldo o più freddo… Ho fatto il film adattandolo al clima in cui vivo. Se non avessi accettato la censura, non sarei diventato un regista. Durante gli anni più difficili della censura iraniana Abbas Kiarostami ha continuato a lavorare, senza lamentarsi mai. Anche questo punto di vista è per me un esempio”.

di Arianna Finos, La Repubblica

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