Achille Lauro si fa jazz: «Rilancio gli Anni 20, aiutato dai ricordi di nonna»

«Ogni giorno mi viene a noia quello che ho fatto il giorno prima e allora cambio». E allora via i suoni della trap con cui si è fatto largo durante la gavetta, cancellato anche il punk rock che con Sanremo 2019 lo ha rivelato al nazionalpopolare, e basta anche alla dance di «1990». Cambiato anche il guardaroba che fra libertà e provocazione mischiava tacchi a spillo e giubbotti in pelle, latex e colori fluo. È il momento di fare spazio a una big band e al più classico dei gessati. Achille Lauro punta la sua macchina del tempo a un passato ancora più lontano e, dopo «1969» e «1990», ecco «1920»: tre canzoni inedite, tre cover e due riletture di suoi brani.

Come ha ricostruito quel passato che non ha vissuto?
«Ne ho sentito parlare dall’unica nonna rimasta, quella paterna. A parte questi racconti ne ho una visione italoamericana formatasi con film come Gli intoccabili. A livello di immaginario sono andato verso l’elegante pur mantenendo una punta controversa che è parte della mia estetica».

Eleganza da Gatsby: preferisce DiCaprio o Redford?
«Stimo DiCaprio per tutta la carriera, da Buon compleanno mr. Grape e La stanza di Marvin ai cult come Inception e Shutter Island. Mi piace anche per come usa i social: in un mondo che vuole apparire lui dà spazio a cause sociali».

Com’è stato lavorare con un’orchestra di 15 persone, la Untouchable Jazz Band, guidata dal maestro Dino Plasmati?
«Vengo da una generazione in cui l’artista fa una carriera in solitudine o con un piccolo team. Qui ho provato la big band e mi sono imposto di scrivere con loro gli arrangiamenti e di registrare live in studio. Rileggiamo l’età del jazz, andando anche oltre con Carosone ad esempio, per sottolineare l’essenza dell’improvvisazione».

Il suo viaggio musicale nel tempo proseguirà?
«Il prossimo sarà il mio primo vero album. Sarò me stesso senza tempo, senza collocazione, ancora più autorale. Intanto ho fatto questo disco leggero che si adatta all’attuale periodo di emergenza».

Il suo lockdown?
«Sono ossessionato dal creare: vivo da due anni fra studi e cantine, non dormo fino alle 7 del mattino e un giorno mi dirò che avrei dovuto vivere di più. Però con la scrittura mi sono autoanalizzato e curato. Prima che scattasse il lockdown ero in session e per non interromperla ho subito preso un airbnb in cui sono stato tutti i giorni con un amico a comporre».

Anche lei aveva un tour, rinviato per Covid…
«Adesso che le date sono state rinviate sogno un concerto solo allo stadio Olimpico. Vorrei poter dire: non ho mai suonato nei palasport».

Nella versione «Black Swing» di «Bvlgari» c’è «Tutti quanti voglion fare il jazz»: fan degli Aristogatti?
«Lo abbiamo visto tutti quel film, ma io ero fissato con Il re leone: piangevo ogni volta che lo guardavo».

In «Jingle Bell Rock» duetta ancora con Annalisa.
«Solo con lei potevo fare una cosa che 10 anni fa non avrei mai fatto. Quando a Sanremo abbiamo portato “Gli uomini non cambiano” di Mia Martini, anche chi non aveva capito la svestizione e il riferimento al Giotto, si è reso conto che facevo sul serio».

A quella cover sanremese aveva abbinato una lettera tratta dal suo libro «Io sono Amleto» in cui parlava di uomini «omofobi» e «disgustosi» e rivendicava il suo lato femminile. Per la giornata contro la violenza sulle donne ha fatto un post sul patriarcato.La sua generazione cambierà le regole?
«La mia generazione è diversa, aperta, globalizzata e si inizia a non vedere più la diversità di genere. Viviamo ancora di stereotipi pericolosi. Bisognerebbe chiedere cosa significhi la libertà ai nostri nonni che hanno combattuto per averla quando non c’era».

Lei viene dal rap, scena iper machista e poco rispettoso delle diversità…
«Il rap scimmiotta un atteggiamento che è molto vivo nelle periferie. Le amo perché sono pregne di arte, quelle facce della gente per dirla alla Pasolini, ma ci sono ancora nuclei di scarsa istruzione e cultura dove la discriminazione prolifera».

Le donne nella musica scarseggiano: poche settimana fa nemmeno una nei primi 30 album. Da direttore artistico di Elektra, etichetta della Warner, che progetti ha?
«Sto cercando nel sottobosco underground e sto lavorando con due ragazze interessanti: Naheze ed Elenoir».

Al Capone, boss della Chicago Anni 20 venne fregato dall’evasione fiscale. Cosa fregherà Achille Lauro?
«Non farò la stessa fine. sono uno preciso. Anche se, alla fine, tutti finiremo fregati».

Andrea Laffranchi, Corriere.it

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