Monica Guerritore omaggia Strehler con “L’anima buona di Sezuan”: “La necessità ci rende cattivi”

“Grazie al Teatro Manzoni porto a Milano “L’Anima buona di Sezuan” nella versione scenica di Giorgio Strehler (quella del 1981, ndr) nella ricorrenza dei 100 anni dalla sua nascita”, così Monica Guerritore presenta la pièce brechtiana, di cui è regista e interprete e che, dopo tante traversie e oltre un anno e mezzo di fermo a causa della pandemia, approda finalmente nella sala milanese dal 4 al 17 novembre. Un sentito, dovuto e voluto omaggio al grande Maestro, di cui l’attrice è stata devota discepola. Uno spettacolo, che è una parabola drammatica, in cui l’essere umano viene mostrato in tutta la sua complessità, “costretto” a diventare cattivo e ad indossare “maschere ringhianti” per sopravvivere in un mondo che mette i più fragili e i più poveri a dura prova. 

Costruito nel pieno rispetto della versione di Strehler, ma ridotto nella durata (“Lo diceva lo stesso Brecht, come si può far durare uno spettacolo più di tre ore?”) e nel numero di attori in scena, con scelte musicali che si discostano da quelle originali di Dessau, lo spettacolo che la Guerritore porta in scena a Milano parte da una semplice domanda, come racconta la stessa artista: “Perché siamo diventati così cattivi?”.

E la risposta è nel lungimirante testo brechtiano, nella sua poetica e nella bellissima messinscena di Strehler a cui l’attrice e regista si ispira.  “L’uomo è portato al bene. Il male è contro natura. E’ faticoso. Dirà la buona Shen Te dopo aver assunto le sembianze del cugino cattivo “com’è difficile essere cattivi”. Ma per sopravvivere è necessario zittire la bontà e indossare denti d’oro e ghigno brutale, diventare maschere ringhianti, se si viene lasciati soli a combattere contro le difficoltà. Serve uno Stato regolato da leggi giuste, uno stato sociale. La necessità e la povertà creano le dittature. I soldi? Servono, per fare stare meglio la gente che vive male. Abbiamo bisogno di creare un mondo nuovo”.

Spettacolo di grande impatto scenico, “L’anima buona di Sezuan” di Monica Guerritore si attiene con fedeltà ai tecnicismi e alle modalità dettate dalle note di regia dei due maestri e così sul palco ritroviamo la piattaforma girevole su cui cambiano le scene e i personaggi si rincorrono, i giochi e i disegni di luce dal forte impatto emozionale e una schiera di attori, che attraverso il linguaggio del corpo, come nella Commedia dell’Arte, si trasformano e assumono di volta in volta un ruolo differente, altro da sè.

E sul tema del doppio si reggono tutti i personaggi della pièce, a partire dalla protagonista, la buona Shen Te (interpretata dalla Guerritore), la prostituta a cui, in una remota regione della Cina, il Sezuan, si manifestano tre divinità che da lei trovano ricovero per la notte e che per la sua generosità viene ricompensata con una cospicua somma di denaro, insieme al comandamento di continuare a praticare la bontà. La brava donna apre una tabaccheria ma presto viene circondata da una schiera di parenti e falsi amici desiderosi di truffarla e approfittarsi della sua bontà, per appropriarsi delle poche fortune che le appartengono. Shen Te dovrà a questo punto fare una difficile scelta e per difendersi si traveste da cugino cattivo, Shui Ta, ovvero da chi alla generosità antepone la razionalità e il buon senso. 

“La grande intuizione di Brecht” spiega la Guerritore “fu proprio quella di far interpretare la bontà e la cattiveria dalla stessa persona, un’anima che è un essere vivente e che in sé porta ambedue le facce. Tutti gli attori interpretano più ruoli e l’atto liberatorio e salvifico sta proprio nell’accettare il doppio, che alberga n ognuno di noi”.

La natura umana è fragile e, sottoposta alle condizioni più estreme, torna quindi ad uno stato quasi primordiale, nel quale i buoni sentimenti sono rimpiazzati dallo spirito di sopravvivenza, dall’egoismo, l’ipocrisia e la prevaricazione: ogni essere umano ha in sè il chiaro e lo scuro, il buono e il cattivo.

La salvezza? Arriva dalla vicinanza con gli Altri, dalla solidarietà tra esseri umani, dalla catena sociale, come mostra il finale dello spettacolo.
E così che “al termine della rappresentazione, con noi attori stretti gli uni agli altri sul proscenio, sarà la voce di Strehler a dirci il valore dell’amore… per Brecht, per noi, e il senso più intimo che può assumere, perfino se disperato, nella sua purezza. E raccoglierci in un sentimento comune. Così forte, ora. Nel nome di un teatro civile, politico, di poesia”.

Tgcom24
 

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